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La Hollywood classica: il cinema della continuità

 (Prima parte)
Classical Hollywood: the cinema of continuity (Part 1)

N.B. E' disponibile una versione pdf di questo Dossier.

1. Introduzione

La ragione per cui i modi di narrare storie nel cinema americano sono spesso presi come essenziali punti di riferimento è l'influenza che questo cinema, soprattutto all'apice del suo periodo "classico" (grosso modo dagli anni '30 agli anni '50 del secolo scorso) ha avuto sul piano della cinematografia mondiale. Tuttavia, sono necessarie alcune precisazioni.

In primo luogo, le convenzioni che il cinema hollywoodiano ha adottato sono il risultato della graduale messa a punto di una serie di tecniche espressive e di un linguaggio filmico che parte quasi subito dopo la "nascita" del cinema, nei primi due decenni del '900 con le opere di Porter e Griffith, e poi sviluppati pienamente in un modello definibile come "classico" e come tale adottati (o adattati) in molte altre cinematografie nazionali. Queste convenzioni hanno continuato e continuano ad esercitare un forte impatto sul cinema della seconda metà del '900 e negli anni 2000, nonostante gli sviluppi e i cambiamenti che si sono nel frattempo verificati, sia col cosiddetto cinema "moderno" che in quello vagamente etichettato come "post-moderno".

Il primo, originato dal grande spartiacque socioculturale rappresentato dalla Seconda Guerra Mondiale e dalle inquietudini del dopoguerra, si era manifestato già con l'affermarsi del noir negli Stati Uniti sin dai primi anni '40, ma è stato poi alimentato da numerosi "movimenti", a partire dal Neorealismo italiano dalla metà degli anni '40, per poi arricchirsi di "nuove ondate" nei due decenni successivi: la Nouvelle Vague francese, il Free Cinema inglese, il Neuer Deutscher Film in Germania, il Cinema Novo in Brasile, solo per citarne alcune, cui seguì presto il cosiddetto cinema della New Hollywood: movimenti e correnti che si sono poi nutriti, a partire dagli anni '60, della più vasta contestazione culturale del secolo scorso.

In secondo luogo, quelle che spesso vengono definite come "narrazioni (post)moderne", in contrapposizione con il "canone" classico hollywodiano, non sono costituite da una serie di convenzioni ugualmente strutturate e certamente non da un "canone" di convenzioni decisamente alternative. Le narrazioni "(post)moderne", in altre parole, si distaccano chiaramente dal cinema hollywodiano classico non come conseguenza di una rivoluzione di intenti, quanto piuttosto come amalgama di influenze diverse, provenienti, come abbiamo appena citato, da svariate esperienze nazionali, e tuttavia abbastanza innovative da poter essere identificate e descritte nella loro originalità. Non si tratta dunque di due "canoni" alternativi, sia perchè le convenzioni classiche hollywodiane tendono a persistere e a volte perfino a rafforzarsi, sia perchè all'interno di uno stesso film è possibile rintracciare convenzioni e, insieme, rotture di convenzioni più o meno consapevoli ed esplicite.

2. Il cinema "invisibile" come cinema della "continuità"

"Il presupposto su cui si basa tutta la narrazione cinematografica convenzionale (di stampo hollywodiano) [é] che il mondo sia completamente decifrabile, che le motivazioni delle persone possano essere comprese, che tutti gli eventi abbiano delle cause chiare e che la fine di una storia ci offra comunque la possibilità di fondere tutti gli elementi della trama in una sola coerente azione drammatica" (Armes R. 1994. Action and image: Dramatic structure in cinema. Manchester University Press, Manchester, pp. 103-104.).

Questo presupposto fondamentale implica la creazione di un mondo filmico che appaia agli occhi dello spettatore completamente plausibile, e che lo spettatore stesso possa giungere a darne un'interpretazione in modo agevole, ossia a creare una rete di significati senza ostacoli, dubbi o confusioni. Non si tratta però di concepire lo spettatore come elemento passivo, su cui "riversare" una serie di contenuti: piuttosto, lo spettatore viene accompagnato momento per momento a compiere quelle operazioni cognitive comunque necessarie per la ricostruzione dei significati. Allo stesso tempo, ciò deve avere luogo senza che siano compromesse le reazioni affettive che si intendono provocare: lo spettatore richiede di provare emozioni, oltre che di formulare pensieri, e questa sua legittima richiesta rimane alla base di ogni sforzo produttivo. Così, ad esempio, condurre lo spettatore lungo l'arco della narrazione secondo un itinerario chiaro, quasi usando una mappa ben impostata, in modo che non sia possibile "perdersi", non significa rinunciare alla suspense, al dubbio, alla stimolazione di aspettative: ma nel corso della narrazione stessa, e in particolare verso la sua conclusione, la suspense deve essere sciolta, i dubbi fugati, le aspettative soddisfatte. E tutto questo deve avvenire senza confondere lo spettatore, e ovviamente senza privarlo del piacere di entrare nel mondo "messo in scena", di identificarsi con i personaggi, di seguire le loro vicissitudini, di formulare ipotesi sullo svolgimento e sulla conclusione della storia - e, insieme, di provare le emozioni che tutto questo comporta.

Il cinema classico hollywodiano ha sviluppato molto presto (già a partire dagli anni '10 del secolo scorso) questo tipo di approccio, lo ha messo a punto in modo più o meno definitivo negli anni '20, e lo ha consacrato e portato alla massima espressione nei decenni immediatamente successivi. I film realizzati secondo questo approccio si basano tutti su due importanti elementi distintivi:

- che il mondo rappresentato, come è detto chiaramente nella citazione iniziale, sia nel complesso ordinato e coerente, o per lo meno che lo diventi sempre più nel corso della storia e certamente nella sua conclusione: è necessario allora capire le caratteristiche che deve avere questo "mondo". La prima questione che dobbiamo porci è dunque di contenuto, e deve aiutarci a rispondere alla domanda: "che cosa costituisce questo mondo?";

- che tutta la "macchina" cinematografica necessaria, cioè le tecniche e gli stili narrativi, non sia minimamente di intralcio alla comprensione da parte dello spettatore: questa macchina deve restare "invisibile", per non rompere l'illusione del mondo che crea. Lo spettatore non deve mai essere indotto a "intravvedere" l'artificio - un po' come il prestigiatore scopre il risultato ma nasconde accuratamente i modi necessari per raggiungerlo. E questa invisibilità della "macchina cinema" deve essere costante, senza soluzioni di continuità: lo spettatore deve seguire la narrazione in modo lineare e coerente senza percepire salti, scarti o altri fenomeni che lo confondano e non gli permettano di "vivere" il mondo rappresentato. La seconda questone che dobbiamo porci è dunque formale (cioè di tecnica e di stile), e deve aiutarci a rispondere alla domanda: "come viene realizzata la continuità invisibile?", ossia "quali sono i mezzi espressivi adottati, e in che modo vengono utilizzati per raggiungere questo obiettivo?".

Queste due domande tracciano il nostro itinerario di indagine. Alla prima domanda risponderemo nei paragrafi che seguono. Alla seconda domanda risponderemo nella seconda parte di questo Dossier.


3. La creazione di un mondo

3.1 Motivazioni, cause ed effetti

Il "mondo" messo in scena dal cinema hollywoodiano, a prescindere dai generi, dalle tematiche e dalle ideologie sottostanti, è, come si dice nella citazione iniziale del paragrafo precedente, un universo dalle dinamiche magari complesse ma comunque note o per lo meno comprensibili. Nella maggior parte dei casi non si tratta però di un mondo statico e fisso, ma di un palcoscenico in agitazione, perchè popolato da personaggi, più o meno complessi psicologicamente (ma comunque dotati di tratti di personalità, di qualità e di capacità di agire ben delineate) e, soprattutto, sempre attivi perchè motivati dal raggiungimento di uno scopo chiaro, a breve o a lungo termine. Sono dunque i personaggi, con le loro motivazioni, i motori della storia narrata, sia come singoli individui, sia (più raramente) come gruppi.

I rapporti di causa/effetto sono dunque centrali: i personaggi agiscono secondo  comportamenti lineari, che costituiscono la causa di eventi-conseguenze, a loro volta trainanti ulteriori sviluppi narrativi. La narrazione è lineare ma non per questo piatta o distesa: nel corso dei loro sforzi per conseguire il loro scopo, i personaggi incontrano ostacoli, costituiti da altri personaggi (gli antagonisti) o da circostanze di vario tipo, che complicano il percorso e che richiedono reazioni e contro-reazioni. Da uno stato iniziale di (apparente) equilibrio, di solito ben delineato dalle prime sequenze, si passa rapidamente ad un turbamento di questo stato, causato appunto dall'azione dei personaggi, che devono lottare per riportare il mondo in un nuovo stato di ordine attraverso il superamento di prove che possono comportare una vittoria o una sconfitta, la risoluzione dei problemi sollevati nel corso dell'azione e quindi il raggiungimento o meno dgli scopi iniziali.

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In Casablanca (di Michael Curtiz, USA 1942) il protagonista, l'americano Rick Blaine, ci viene presentato all'interno del suo locale (il Rick's Bar) durante la seconda guerra mondiale, a Casablanca, occupata dai tedeschi e dai rappresentanti del governo francese collaborazionista. In questo contesto simil-bellico, Rick, di carattere ombroso e disilluso, sembra aver trovato una sua nicchia al riparo dalle pur forti pressioni del momento. Questo relativo equilibrio viene spezzato dall'arrivo di un eroe della resistenza, Victor Laszlo, e di sua moglie Ilse, che pochi anni prima era stata l'amante di Rick a Parigi. Si apre quindi un primo fronte di squilibrio: Rick e Ilse non hanno smesso di amarsi, e la passione si riaccende immediatamente. Ma la questione si complica ulteriormente, poichè Victor e Ilse hanno bisogno di due "lettere di transito" per lasciare il Marocco, e Rick potrebbe essere in grado di procurargliele. Ecco il nostro protagonista motivato ad agire, ma lacerato da due scopi o soluzioni opposte: riavviare il suo rapporto con Ilse, privilegiando l'aspetto "privato" della situazione, o consentire alla coppia di lasciare il paese, in uno slancio patriottico che si scopre latente sotto il suo apparente cinismo? Rick sceglierà la seconda strada, risolvendo, non senza drammatici rimpianti, il problema, e così facendo raggiungendo lo scopo (o uno degli scopi) che gli si erano posti di fronte e riportando il mondo in un nuovo equilibrio. Come si vede, la risoluzione del conflitto non è sempre necessariamente positiva per tutti i personaggi, ma è comunque molto chiara e lineare, e non lascia in dubbio o in sospeso nessun "filo" dell'intreccio.

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Casablanca costituisce anche un esempio tipico delle forze motivazionali in azione nella trama, che sono spesso due: una con al centro una storia romantica e l'altra inerente una sfera diversa - in questo caso, l'impegno morale e il senso della giustizia. In questo film le due strutture causali sono intrecciate in modo particolarmente stretto, mentre in altri casi possono procedere in modo parallelo, ciascuna con i suoi conflitti e le sue azioni conseguenti: ma in genere, la risoluzione del problema rappresentato da una delle due sfere implica anche lo scioglimento dell'altro conflitto.

3.2. Lo sviluppo temporale

La trama è dunque costituita dal succedersi di eventi che attualizzano la catena cause/effetti: si è visto come lo sviluppo della storia passi attraverso fasi successive, che prevedono un punto di svolta (climax) e una progressione chiaramente motivata verso un punto di arrivo finale lineare.

Ma questa trama è sempre suddivisa in segmenti o sequenze, definibili nella loro struttura dalle tre classiche unità di spazio (un luogo ben definito), di tempo (un lasso temporale delimitato e senza interruzioni) e di azione (una porzione dell'azione complessiva marcata da un chiaro rapporto causa/effetto). Il passaggio da una sequenza a quella successiva è ben indicato da effetti come le dissolvenze (fade)(anche incrociate), la graduale sovrapposizione della scena attuale con quella successiva (wipe) o anche un ponte sonoro, cioè il sonoro della scena seguente che inizia nella scena attuale. Naturalmente ogni film possiede una segmentazione diversa: ad esempio, in un film che si svolge in un arco temporale molto ristretto e in un solo spazio, le sequenze possono identificarsi semplicemente con gli scambi verbali tra personaggi, con i segmenti identificati dall'entrata o dall'uscita dei personaggi dalla scena. In un film la cui storia di dipana su un arco temporale molto lungo e in tanti spazi diversi, più scene di breve durata, anche se segnalate da dissolvenze, possono costituire un'unica sequenza.

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Questa prima sequenza tratta da Come le foglie al vento (di Douglas Sirk, USA 1956) inizia nella hall di un lussuoso albergo, dove un ricco petroliere texano, Kyle Hadley, in compagnia di un amico e di una ragazza, Lucy, vengono condotti sulla soglia di una lussuosa suite. - Stacco - Nella suite, Kyle cerca di sedurre Lucy, mostrandole tutte le ricchezze e gli agi a cui può avere accesso. Lucy rimane alquanto perplessa, e, quando Kyle lascia la suite, esce sul terrazzo, pensierosa e turbata. La sequenza prosegue con Kyle che rientra e, non trovandola, la chiama più volte senza risultato. - Stacco - Kyle corre nella hall, chiede di Lucy prima alla signora alla reception, poi al portiere all'ingresso, che gli conferma che Lucy ha preso un taxi per l'areoporto. Kyle prende subito un taxi per raggiungerla. Tutta questa sequenza ha luogo nell'albergo, sia pure in locali differenti, e nel breve giro di pochi minuti. Il gioco di cause/effetti è lanciato: alla fortissima motivazione di Kyle fa però riscontro la risposta negativa di Lucy, e si apre dunque un conflitto, con cui si conclude la sequenza. Una fulminea dissolvenza incrociata introduce una nuova sequenza: infatti rivediamo Kyle che sta salendo sull'aereo, dove ritrova Lucy e la convince a scendere. Un'altra dissolvenza incrociata ci porta nel bar dell'areoporto, dove Lucy tenta di spiegare la sua reazione e le sue perplessità. Nuova dissolvenza incrociata, e ci ritroviamo in un'altra parte dell'areoporto, dove Kyle spiega a Lucy le sue serie intenzioni e la convince a sposarlo. Tutta questa seconda sequenza si svolge in un'unità di luogo (l'aereo, poi due spazi in areoporto), di tempo (pochi minuti, e significativamente ci viene mostrato un orologio) e di azione: la seconda sequenza riprende e risolve la "sparizione" di Lucy alla fine della prima sequenza e porta avanti la trama risolvendo - almeno in via temporanea - il conflitto. La seconda sequenza si conclude con Kyle e Lucy che sono giunti ad una decisione, suggellata da un bacio appassionato.

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La sequenza costituisce pur sempre un'unità di una struttura complessiva unica, un segmento che deve far fare un passo avanti nella storia, e per questo si configura quasi come un "microcosmo": è pertanto ben definita in partenza sia dal punto di vista spaziale che temporale, e dalla presenza di personaggi dalle disposizioni psicologiche e dagli stati emotivi ben definiti (anche come risultato della sequenza o delle sequenze precedenti). Nel corso della sequenza, i personaggi compiono varie azioni, che fanno progredire lo sviluppo della storia, chiudendo magari una fase della trama e aprendone una nuova, che spesso viene lasciata in sospeso perchè possa costituire l'aggancio con la sequenza successiva. Questo meccanismo costituisce tuttora un efficace modo di terminare una "puntata" di una serie, "lasciando in sospeso" un'azione, e creando quindi nello spettatore un'aspettativa che verrà risolta soltanto all'inizio della puntata successiva. Molti film realizzati appunto come "serie" nei primi anni del cinema finivano lasciando letteralmente "in sospeso" un personaggio (per esempio, sull'orlo di un precipizio), per poter riprendere con rinnovata motivazione la storia nel film/puntata successivo.

In ogni caso, le sequenze mostrano sempre eventi significativi per la progressione della storia, il che comporta l'eliminazione di "tempi morti" e di momenti di stasi nell'azione. Di conseguenza le ellissi temporali, anche di durata significativa, sono frequenti: queste possono riguardare pochi minuti o poche ore, durante i quali si suppone non succeda nulla di "interessante" ai fini dello sviluppo della trama, o anche anni o decenni, dutrante i quali si suppone "maturino" i caratteri e/o le circostanze che poi riprendono il loro svolgimento ad uno stadio più avanzato. In Grandi speranze (di David Lean, GB 1946), l'orfano Pip conclude la prima parte della sua vita e passa alla sua situazione alcuni anni dopo: ciò è segnalato da una dissolvenza in uscita (fade-out), accompagnata da un commento musicale "da finale di storia" e da una dissolvenza in entrata (fade-in), il tutto con la presenza di un commento fuori campo (la voce di Pip: "La mia infanzia era terminata; e cominciò la mia vita come maniscalco").

Questi "salti in avanti" trovano un corrispettivo nei frequenti flashback, in cui una persona ripensa al passato e narra (dal suo punto di vista, almeno così si suppone in mancanza di altri indizi) eventi precedenti rispetto al momento attuale della storia. E, infine, la correlazione delle sequenze può essere ancor più concentrata e drammatizzata dalla presenza di "scadenze", un limite temporale entro il quale lo spettatore sa che devono succedere alcune cose, e che di per sè rafforzano e approfondiscono la catena di cause/effetti. In Il giro del mondo in ottanta giorni (di Michael Anderson, USA 1956) già il titolo annuncia la scadenza, legata ad una scommessa; in Il terrore corre sul filo (di Anatole Litvak, USA 1948) una donna malata, costretta a letto, intercetta per caso una telefonata che preannuncia un omicidio; nel corso di una serie di altre telefonate, scoprirà che la vittima designata è proprio lei, e, mentre il marito (che aveva organizzato il delitto), si pente e cerca disperatamente di fermare l'assassino, vediamo quest'ultimo avvicinarsi sempre di più alla camera della donna ...

Tutti questi "trattamenti" del tempo sono comunque caratterizzati da uno sviluppo cronologico lineare e ben comprensibile da parte dello spettatore, che non viene messo in difficoltà circa l'ordine in cui gli eventi accadono e anche nel caso in cui la presenza di flashback (o, più raramentie flashforward, cioè "salti in avanti") richiede allo spettatore di riorganizzare gli eventi nella logica sequenza temporale, questo è fatto fornendo allo spettatore stesso ampi indizi e "aiuti" alla comprensione.

Anche la conclusione della storia si inserisce in questo ordine logico e temporale organizzato. Delle due linee di azione sopra menzionate (la "storia romantica" e l'altra linea contemporanea), più spesso è la prima a terminare in maniera esplicitamente felice - l'happy ending, insomma, per quanto presente nella maggior parte dei casi, non è l'unico criterio decisivo in questo senso. Ancora più importante, infatti, è che la storia abbia una sua conclusione logica, in cui i nodi della narrazione vengano sciolti, e il mondo rappresentato torni in qualche modo in uno stato di equilibrio e di coerenza dopo le vicissitudini che lo avevano fatto traballare. In altre parole, la conclusione, più che "felice" deve essere "adeguata". Perchè qesto succeda, non è strettamente necessario che proprio tutti i "nodi" della storia vengano sciolti: alcune vicende secondarie, o il destino di alcuni personaggi di secondo piano, possono essere lasciati irrisolti o semplicemente ignorati, purchè la linea centrale abbia una conclusione adeguata.

Anche da questo punto di vista, però, non è detto che tutte le storie abbiano una conclusione del tutto convincente, purchè però ci sia la sensazione di un "effetto di chiusura" che lasci soddisfatto lo spettatore. Ci sono insomma casi in cui si può parlare di una "pseudo-conclusione", in quanto, per esempio, la catena causale non si risolve in modo del tutto completo e assoluto. In Il sospetto (di Alfred Hitchcock, USA 1941), un playboy che vive di espedienti sposa una giovane aristocratica, e per tutto il film lo spettatore è portato a sospettare, appunto, che il realtà l'uomo la voglia uccidere per godersi l'eredità. Il gioco del sospetto è talmente "pesante" che quando, alla fine, si scopre che l'uomo ama veramente la moglie e non ha mai pensato di ucciderla, l'happy ending suona un po' forzato, anche perchè la conclusione è rapida e sommaria rispetto a tutto lo sviluppo precedente.

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Analogamente, in Il ladro (sempre di Alfred Hitchcock, USA 1956) un uomo viene arrestato perchè (erroneamente) scambiato per un rapinatore, e la sequenza di prove dolorose che deve affrontare prima che venga scoperto il vero colpevole finisce per minare la sanità mentale della moglie. Anche dopo che l'uomo è stato scagionato, ci vorrà tempo prima che la moglie guarisca e la vita torni normale per tutta la famiglia. Se la linea narrativa dell'"uomo sbagliato" (come recita il titolo originale), ha una sua risoluzione efficace e adeguata, la linea della felicità della famiglia rimane piuttosto indefinita, e l'ultima immagine, che mostra marito, moglie e figli camminare tranquilli per strada non riesce a tranquillizzare lo spettatore. Persino le parole in sovraimpressione, che ci informano che dopo due anni la moglie è guarita ed ora vive felice in Florida con la famiglia, suonano un po' forzate: il mondo, in questo caso, è stato troppo sconvolto, e il ritorno, venato di malinconia, dell'equilibrio iniziale fatica ad essere rappresentato (e percepito dallo spettatore).

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3.3 Lo sviluppo spaziale

Anche il trattamento dello spazio nel mondo rappresentato obbedisce a criteri di massima chiarezza e intelligibilità. Non solo la messa in scena segue criteri di realismo, per cui il contesto scenico è funzionale ai personaggi, alla storia narrata e alla catena di cause/effetti; ma l'intera trama è soggetta ad un criterio di "onniscienza spaziale". La macchina da presa costituisce cioè una specie di "osservatore invisibile" che prende il posto dello spettatore, conducendolo nei luoghi più adatti alla comprensione della storia. Libera da restrizioni spazio-temporali, la mdp non esita a cambiare rapidamente contesti se questo è dettato da esigenze di chiarezza espositiva, pur restando entro i limiti delle convenzioni familiari allo spettatore (Bordwell D. 1986. "Classical Hollywood cinema: Narrational principles and procedures", in Rosen P. (ed.) Narrative, apparatus, Ideology: A film theory reader, Columbia University Press).

Naturalmente, il cinema dispone di molti dispositivi per "manovrare " lo spazio in funzione dei significati che vuole esprimere e delle emozioni che intende trasmettere: basti citare l'alternanza dei possibili campi, da un campo medio-lungo al primo o primissimo piano. Questa alternanza è basata sull'utilizzo di convenzioni, che sono però gestite in modo tale da assicurare allo spettatore la massima fluidità di sguardo: anche in questo caso, la "macchina" cinematografica rimane invisibile, permettendo al pubblico di fare l'esperienza di una visione continua e funzionale ad una narrazione chiara e lineare degli eventi. Il cinema della continuità si basa dunque su un'invisibilità dei dispositivi attraverso cui quella continuità viene assicurata. Ciò ci porta alla nostra seconda domanda ("come viene realizzata la continuità invisibile?"), che trattiamo nella seconda parte di questo Dossier.


N.B. A pdf version of this Dossier is available.

1. Introduction

The reason why the ways of telling stories in Hollywood cinema are often considered as essential reference points is the influence that this cinema, especially at the climax of its "classical" period (approximately between the '30s and the '50s of last century) has had on the global cinematic world. However, some considerations are in order.

In the first place, the conventions adopted by Hollywood cinema are the result of the gradual orchestration of a series of expressive techniques and of a film language which started just after the "birth" of cinema, in the first two decades of the 20th century with the works by Porter and Griffith, and then fully developed in a model which we can define as "classical" and, as such, adopted (or adapted) by several other national cinema industries. These conventions have continued and still continue to exert a strong influence worldwide in the second half of the 20th century as well as well into the 21st, despite the developmemts and the changes that have taken place in the meantime, both in the so-called "modern" cinema and in what is vaguely labelled as "post-modern" cinema.

The former, which is linked with the great sociocultural watershed represented by World War II and the post-war unrest, had already made its presence felt with the success of the film noir genre in the USA since the beginning of the '40s, but was then further developed following the several "movements", starting with Italian
Neo-realism of the '40s and the new "waves" of the following two decades: the French Nouvelle Vague, the English Free Cinema, the German Neuer Deutscher Film, the Brazialian Cinema Novo, just to mention a few. All this was followed by the so-called New Hollywood cinema - with all these movements and trends finding new ground, from the '60s onwards, in the most widespread cultural protest of last century.

In the second place, what are often defined as "(post)modern" narratives, in contrast with the classical Hollywood "canon", are not made up of a series of equally structured conventions and certainly not of a "canon" of starkly alternative conventions. The "(post)modern" narratives, in other words, clearly distance themselves from the classical Hollywood cinema not as a result of new revolutionary ambitions, but rather as the result of different influences, which originated, as we have just mentioned, in varied national experiences, and yet showing enough innovative features as to be identified and described as relatively "new" and original. We are therefore not dealing with two alternative "canons", since classical Hollywood conventions tend to persist and even to grow stronger, so that within the same film we can sometimes identify both conventions and breaks of conventions carried out in more or less conscious and explicit ways.

2. "Invisible" cinema as the cinema of "continuity"

"The assumption on which all conventional (Hollywood-style) film narrative is based, [is] namely that the world is wholly decipherable, that people's motivations can be understood, that all events have clear causes and that the end of a fiction will offer us the chance to fuse all elements of the plot into a single dramatic action"(Armes R. 1994. Action and image: Dramatic structure in cinema. Manchester University Press, Manchester, pp. 103-104.).

This basic assumption implies the creation of a filmic world which should appear to viewers as completely plausible, and that viewers themselves are able to interpret it in a smooth and easy way, thus creating a network of meanings without encountering any obstacles, doubts or confusing patterns. However, viewers are not considered as passive beings or empty vessels waiting to be filled with appropriate content: rather, viewers are accompanied throughout the filmic experience so that they can activate those
cognitive operations which are in any event necessary for them to be able to build meanings. At the same time, all this must happen without jeopardizing the affective reactions which are meant to be raised: viewers ask to feel emotions, as well as to formulate thoughts, and their legitimate demands remain the basis of any productive effort. In this way, for example, leading viewers along the narrative by following a clear route, as if they were using a precise map and could not possibly lose the thread, does not mean depriving them of suspense, doubt, expectations: however, during the unfolding of the events, and especially towards their conclusion, suspense must terminate, doubts must be banished, and expectations must be met. All this must happen without confusing viewers, and obviously without depriving them of the pleasure to enter the staged world, to identify with the characters, to follow their ups and downs, to formulate hypotheses on the unfolding and conclusion of the story - and, at the same time, to feel the emotions that are implied in all this.


Classical Hollywood cinema developed this kind of approach quite early, starting from the first decade of last century; the approach was adjusted in a more or less definite way in the '20s and was brought to its most thorough development in the following decades. All films produced through this approach share two important distinctive features:

- that the world staged in the film, as was mentioned in our initial quotation, should on the whole appear as a neat and coherent place, or at the very least that it should become so while the story develops and certainly by the end of it: it is then necessary to understand the features that this "world" must possess. The first step we must take is then a matter of
content, and should help us to answer the question: "what makes up this world?";

- that the necessary cinematic "machine", i.e. the techniques and narrative styles, should never confuse or complicate the viewers' comprehension: this "machine" must remain "
invisible" so as not to break the illusion on which the filmic world is based. Viewers should never be led even to glimpse the artifice - a bit like a conjurer who shows the result but carefully hides the ways to obtain it. This invisibility of the "film machine" must be constant and steady, without interrupting such achieved continuity: viewers should follow the narration in a linear, coherent way, without becoming aware of any jumps, cuts, or other events which might confuse them and keep them from "living" the staged world. The second step we must take is then formal (i.e. concerned with techniques and style), and should help us to answer the question: "how is invisible continuity achieved?", or, "what are the means, and how are they used, to reach this goal?".

These two questions will shape our exploratory route. The first question will be answered in the following paragraphs. The second question will be answered in the second part of this
Dossier.

3. Creating a world

3.1 Motivations, causes and effects

The world as staged by Hollywood cinema, apart from genres, topics and underlying ideologies, is, as mentioned in the above quotation, a universe whose dynamics is perhaps complex but nevertheless well-known or at least easily comprehensible. In most cases, however, this world is not static and immutable, but is best described as a stage filled with movement, since it is populated by
characters, more or less psychologically complex (though gifted with well-defined personality traits, qualities and ability to act and react), who, above all, are always active since they are motivated by clear, short- or -long term goals. Characters and their motivations are thus the elements which set the story in motion, both as single individuals and (though more rarely) as groups.

Cause and effect relationships are thus central: characters behave according to linear behavioural patterns, which constitute the cause of events/consequences, which in turn open the way to further narrative developments. Narration is linear but not flat or static: while making every effort to reach their goals,
characters meet obstacles, represented by other characters (the antagonists) or by various kinds of circumstances, which complicate the issue and demand reactions and counter-reactions. From an initial state of (apparent) balance, which is usually well defined in the first sequences, we are quickly led to witness a (dramatic) change, caused by the actions of characters, who must struggle to bring the world back to a new balanced state through a series of challenges which may imply a victory or a defeat, the solution of problems posed in the course of events and eventually the achievement of the initial goals.

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In Casablanca (by Michael Curtiz, USA 1942) the main character, US-born Rick Blaine, is first presented in the context of his club (Rick's Bar) during World War II, in Casablanca, a city in the hands of the German army and of the representatives of the French collaborationist government. In this war-like context, Rick, apparently a disillusioned and cynical character, seems to have found a "niche" which acts as a shelter from the pressures of the times. This relative balance is broken by the arrival of a resistance hero, Victor Laszlo, and of his wife Ilse, who had been Rick's lover in Paris just a few years before. Thus the initial balance is put at risk: Rick and Ilse are still in love, and the force of passion is immediately rekindled. However, the state of affairs soon gets even worse, since Victor and Ilse need two "letters of transit" to leave Morocco, and Rick may be in a position to provide them. Our main character is therefore motivated to act, but his motivation is torn by two opposite goals: should he start his relationship with Ilse again, thus giving priority to the "private" side of the issue, or should he help the couple to leave the country, giving way to a patriotic impulse which seems to be lying under his apparent cynicism? Rick will take the second route, thus solving the problem (though not without bitter regrets) and in this way reaching the goal (or one of the goals) that  were laid out before him and bringing the world back to a new balance. As can be seen, the solution of the conflict is not necessarily always positive for all the characters, but is neveretheless very clear and linear, and does not leave any doubts pending.

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Casablanca can also be viewed as a typical example of the motivational forces moving the plot forward. Such forces are usually of two kinds: one is centred on a romantic story and the other concerns a different sphere - in this case, moral engagement and a sense of justice. In this film the two causal structures are tightly interwoven, while in other cases they can proceed in a parallel way, each implying its own conflicts and relevant actions: however, the solution of the problem represented by one of the two spheres generally implies the solution of the other, too.

3.2 Time development

The plot thus implies the unfolding of events which represent the chain of casuses and effects: story development goes though successive stages, which call for a turning point (the climax) and a motivated progression towards a clear final point.

However, this plot is always divided into sequences, which can be defined in their structure by the three classical dramatic unities of
space (a well-defined place), time (a limited, uninterrupted lapse of time) and action (a portion of the overall action marked by a clear cause/effect relationship). The passage from one sequence to the next is well signalled by effects like fades (also cross-fades), the gradual superimposition of the present scene with the next (wipe) or even by a sound bridge, i.e. the sound of the following scene starting in the present one. Each film obviously employs a different segmentation: for example, in a film which takes place in a restricted lapse of time as well as in a limited space, sequences may simply consist of the characters' verbal exchanges and may be signalled by the characters entering or leaving the scene. In a film whose story develops over a longer lapse of time and in a variety of different places, several short scenes, even if signalled by fades, may constitute a single sequence.

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This first sequence from
Written on the wind (by Douglas Sirk, USA 1956) starts in the hall of a luxury hotel, where an oil magnate, Kyle Hadley, together with a friend and a girl, Lucy, are led to the threshold of a suite. - Cut - In the suite, Kyle tries to seduce Lucy by showing her all the riches and comforts that he could make available to her. Lucy is rather perplexed, and, when Kyle leaves the suite, goes out to the terrace, in a pensive and troubled mood. The sequence continues with Kyle coming back and, not finding Lucy, calling out to her, to no avail. - Cut - We see Kyle running into the hall, asking the receptionist about Lucy, then questioning the porter at the entrance, who confirms that Lucy has just taken a taxi to the airport. Kyle immediately takes a taxi to follow her. The whole of this sequence takes place in the hotel, though in different spaces, and within a very short time span. The cause and effect play is launched: Kyle's strong motivation, however, is matched by Lucy's negative reaction, and thus a conflict is put into place and ends the sequence. A very short cross fade introduces a new sequence: we now see Kyle getting aboard the plane, where he finds Lucy and persuades her to get off. Another cross fade takes us to the airport bar, where Lucy tries to explain her reaction and her doubts. A further cross fade moves us to another part of the airport, where Kyle explains his serious intentions to Lucy and persuades her to marry him. The whole of this second sequence takes place in a unity of place (the airplane, then two parts of the airport), time (a few minutes, and we are clearly shown a clock) and action. The second sequence takes up the action from the first and solves Lucy's "disappearance" at the end of the first sequence; it also moves the plot forward by solving - at least temporarily - the conflict. The second sequences ends by showing us Kyle and Lucy coming to a decision and sealing it with a passionate kiss.

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A sequence is always a section of an overall structure, a section which must move the story forward, and thus can be seen as a sort of "microcosm": it is thus well- defined at the start both from a temporal and a spatial viewpoint and through the presentation of characters who show correspondingly well-defined psychological dispositions and affective states (often as a result of the preceding sequence(s)). During the sequence, characters act in certain ways which move the story forward, sometimes closing part of the plot and opening a new one, which is often left "pending" so that it can work as the beginning of the next sequence. This way of closing a sequence is also a convenient way to end an episode of a series, leaving an action "pending", so to say, and therefore creating an expectation which will carry over to the next episode. Several films produced as a "series" in the early days of cinema ended by literally leaving a character "hanging" (for instance, from a cliff), so that the story motivation could be taken up again and carried on in the next film or episode.

In any case, sequences always show events which are meaningful for story development: this implies deleting all elements which would not add anything significant to the story and times when any action does not take place. Therefore
temporal ellipses, of variable duration, are frequent: these can refer to a few minutes or hours, when nothing meaningful happens, or even years or decades, during which we are supposed to believe that characters and/or circumstances "evolve" and the story can then continue in its later stages. In Great expectations (by David Lean, GB 1946), Pip, an orphan, ends the first part of his life and proceeds to narrate what happens to him a few years later: this is signalled by a fade-out, accompanied by a musical score which reminds us of "the ending of a story", followed by a fade-in, while Pip's voice-over adds a comment ("Thus my childhood ended, and I started my life as a blacksmith").

Such "flashforwards" are often combined wuth "flashbacks", e.g. when somebody thinks back to the past and tells (from her/his point of view, or so we are supposed to believe) about events which happened before the present time of the story. Besides, sequence correlation can be made even tighter and more dramatic by adding "deadlines", a time limit before which viewers know certain things must happen, which make the causal links even stronger. In
Around the world in eighty days (by Michael Anderson, USA 1956) the title itself includes a deadline, which is actually linked to a bet; in Sorry, wrong number (by Anatole Litvak, USA 1948) a sick, bed-ridden woman happens to intercept a phone call which talks about an impending murder; following a series of frantic calls, coupled with a number of flashbacks, she will find out that she is actually the designated victim, and, while her husband (which had arranged the murder) repents his decision and desperately tries to stop the murderer, we saw somebody getting nearer to the woman's room ...

All these "time treatments" never jeopardize the linear and clearly comprehensible chronological development of the story- viewers have no problems in arranging the events in the correct order, and even when flashbacks (or, more rarely, flashforwards) ask them to check ou the chronological order, this is done by providing viewers with a number of clues and "aids" to comprehension.

The story ending, too, is part of this well-arranged logical and temporal order. We mentioned earlier that two lines of action are often intertwined - the "romantic" story and another one, of a different kind. The former is often the first to be concluded in an explicitly positive way -
happy endings, in other words, although common in most cases, are not the only critical criterion in this respect. Even more important is that the story reaches a logical conclusion, in which all narrative threads are brought to combine, and the world staged by the film can return to a balanced, coherent state after the events that had threatened it. Thus it is important that the conclusion be "appropriate" rather than simply "happy". For this to happen, it is not strictly necessary for all the elements of the plot to be unravelled: some of the secondary events, or the fate of some characters, can be left unresolved or simply ignored, as long as the main line of the story reaches an adequate conclusion.

Even from this standpoint, though, not all stories must display an entirely convincing ending, provided that viewers experience the satisfying feeling of an "ending effect". There are thus cases when we can talk of a "pseudo-conclusion", since, for example, the causal chain does not lead to a complete resolution. In
Suspicion (by Alfred Hitchcock, USA 1941), a playboy who "lives by his wits" marries a young aristocrat, and all through the film viewers are led to suspect the he wants to murder her in order to get hold of her money. The game of suspicions is so "heavy" that when, at the end, we find out that the man really loves his wife and has never intended to kill her, this "happy ending" sounds a bit forced, since the conclusion is rather fast-paced compared with all the preceding events.

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In a similar vein, in The wrong man (by Alfred Hitchcock, USA 1956) a man is arrested because he is mistaken for a robber, and the series of painful events that he must go through before the true culprit is discovered end up undermining his wife's mental health. Even after the man is proved innocent, his wife's recovery, as well as the return to a "normal" life for all the family, will take time. Although the narrative line of the "wrong man" (as the title of the film suggests) is brought to a clear, adequate resolution, the narrative line concerned with the man's family life does not reach the same straightforward conclusion, and the last shot, which shows all the family walking peacefully along a road, is certainly not the equivalent of a standard "happy ending". Even the superimposed text, which inform us that after two years the man's wife has fully recovered and is now living happily in Florida with her family, sounds a bit forced: in this case the world has been shattered and the return to the initial balanced state, now tinged with sadness, is hard to be shown (and felt by viewers too).

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3.3 Space development

The treatment of space, too, is handled so that viewers perceive and understand it as clearly as possible. Not only does mise-en-scene meets realism criteria, so that the context is appropriate to the characters, the story and the cause/effect relationships; but the whole plot is subject to a criterion of "spatial omniscience". The camera thus works as a sort of "invisible observer" which takes the place of viewers, leading them to the places which are most appropriate for story comprehension. The camera, free from spatial and temporal restrictions, is ready to change contexts whenever this is demanded by the need to clearly establish settings, although always within the limits of the conventions as accepted by viewers (Bordwell D. 1986. "Classical Hollywood cinema: Narrational principles and procedures", in Rosen P. (ed.) Narrative, apparatus, Ideology: A film theory reader, Columbia University Press).

Cinema can obviously choose among an array of devices to arrange space according to the meanings to be expressed and the emotions to be conveyed to viewers: suffice to mention the use of the shot scale, from long and medium shots to (big) close-ups. This choice of shots is based on the use of conventions, which are handled so that viewers' gaze can flow freely and easily: in this case, too, the cinematic "machine" remains
invisible, allowing the audience a viewing experience which is functional to a clear and linear narration of events. The cinema of continuity is thus based on the invisibility of the devices through which that continuity is achieved. This leads us to our second question ("how is invisible continuity achieved?"), which we deal with in the second part of this Dossier.



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