
Che cos'è un "bel" film? Alcune risposte ad una domanda impossibile
Seconda parte: I criteri di valutazione di un film
Luciano Mariani
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1. La gamma dei possibili criteri, "ponte" tra
oggettivo e
soggettivo Dopo aver discusso dei "gusti" individuali, e di ciò che si può intendere con l'etichetta piuttosto ambigua e polivalente di "gusto", cerchiamo ora di riflettere su una serie di criteri che possono essere utilizzati per valutare un film, e quindi per giustificare l'affermazione che si tratti di un "bel" film. Ancora una volta, come abbiamo ampiamente chiarito nell'Introduzione a questo lavoro, non può trattarsi di criteri che oggettivamente definiscono una volta per tutte il valore di un film, quanto piuttosto di elementi che possono essere addotti per capire perchè un film possa essere giudicato in un certo modo, senza per questo darne una valutazione assoluta e definitiva. In altre parole, i criteri che discuteremo qui di seguito costituiscono un tentativo di giustificare le nostre scelte valutative tramite il ricorso ad elementi che facciano da "ponte" tra un'impossibile oggettività ("E' un bel film") e la soggettività più idiosincratica ("Mi è piaciuto molto"). 2. Il giudizio dei "critici" e le "classifiche" o "albi d'oro" Uno dei criteri più facilmente utilizzabili per dare una valutazione di un film consiste nel considerare (ed accettare) i pareri forniti dalla critica cinematografica. Questo criterio si dimostra subito alquanto problematico, innanzitutto per la difficoltà di definire chi, oggi, possa essere considerato un "critico" e in base a quali fattori. Se un tempo la critica cinematografica poteva essere appannaggio quasi esclusivo di "esperti" professionisti, come i giornalisti che pubblicavano regolarmente recensioni su quotidiani e riviste, oggi, con l'esplosione delle forme di comunicazione nell'era del digitale e di Internet, la categoria dei "critici" si è ampliata a dismisura, fino a comprendere una gamma estesa e diversificata di persone che a vari livelli si occupano di cinema. Ad esempio, - i critici "professionisti", spesso, tuttora, giornalisti specializzati nel settore, e che pubblicano le loro recensioni su giornali e riviste (in formato cartaceo e/o digitale); - gli "accademici", insegnanti universitari di vari settori (non solo "cinema" in senso stretto, ma anche comunicazione, media, arti visive ...); - le istituzioni specifiche come le Cineteche nazionali o locali; - gli iscritti a siti Internet specializzati, come l'International Movie Database (IMDb), che hanno la possibilità di esprimere giudizi e valutazioni; - e la miriade di siti, blog, chat, club e via dicendo, che, nati magari come luoghi relativamente "privati", si trasformano spesso in spazi virtuali per la condivisione di giudizi più o meno motivati o anche semplicemente di "piaceri" e "gusti" personali, anche dedicati in modo specifico ad un genere cinematografico, ad una serie televisiva, ad una saga come Star Wars o anche ad un solo film diventato ormai "di culto" per una cerchia più o meno ristretta o estesa di appassionati e fan. E' evidente che, nel mare di informazioni della rete, queste diverse tipologie di "critici" svolgono ruoli molto diversi e, soprattutto, basano le loro valutazioni su un'enorme e indefinita gamma di "criteri", il più delle volte non esplicitati o dati per scontati. A maggior ragione diventa quindi importante, come stiamo appunto facendo, dichiarare in modo quanto più preciso e articolato possibile in che cosa consistano i possibili criteri alla base dei giudizi su un film - recuperando in tal modo non solo l'attendibilità dei "critici" ma anche il ruolo che essi possono svolgere ed il valore di tante valutazioni circolanti nell'universo in espansione della rete. Forse il prodotto più evidente ed intrigante della presenza di tante e così diversificate "istanze critiche" sono le "classifiche" che vengono stilate in continuazione, o gli "albi d'oro" o, in termini più tecnici, i palmarès: molte delle categorie di critici che abbiamo citato si esercitano nella produzione, ad esempio, dei "10 migliori film dell'anno", dei "100 film più amati di sempre", e così via. Troviamo così classifiche "professionali" redatte da critici di riviste (spesso anche in competizione tra loro), da docenti universitari o da istituzioni, ma anche classifiche "amatoriali" redatte da persone che non hanno necessariamente un interesse economico o di altro tipo, come quelle dei lettori di una rivista, degli utenti di un sito, dei membri di una comunità virtuale o anche semplicemente da "Internauti" che si dilettano a diffondere in rete i loro gusti e le loro preferenze (per on parlare dell'impatto che, in questa stessa direzione, possono avere gli influencer anche in questo settore). A tutti questi "albi d'oro" si aggiungono poi classifiche di tipo più "quantitativo", basate ad esempio sul numero di premi ricevuti (gli Oscar, le Palme della Mostra del Cinema di Cannes, i Leoni del Festival di Venezia, gli Orsi di quello di Berlino o i Pardi del Festiva di Locarno ...), o sulle cifre del mercato cinematografico (incassi al botteghino, guadagni delle piattaforme di streaming, vendita di DVD o Blu-Ray ...), e infine sui dati della presenza in rete (numero dei film scaricati, visualizzazioni di un trailer, pagine web consacrate ad un film, citazioni e menzioni ...). Inutile dire che i giudizi e le valutazioni su cosa sia un "bel" film da parte di fonti così numerose e diversificate sono quanto mai aleatori, anche divergenti, e spesso nutriti di considerazioni di parte se non inficiati da interessi più o meno evidenti o nascosti. A questo proposito è molto significativo confrontare due tra le classifiche più note e "quotate" disponibili rete, ma tra loro molto diverse: quella del già citato International Movie Database (IMDb) e quella della rivista Sight and Sound edita dal British Film Institute. La classifica IMDb (a questo link quella del 2025) è basata sulle scelte operate dagli utenti iscritti al sito (molte decine di milioni) in risposta ai sondaggi proposti: si tratta dunque di una platea di "critici" molto eterogenea, non meglio identificata ma comunque globalmente "non professionale". Tra le classifiche operate da Sight and Sound, invece, spicca quella pubblicata ogni dieci anni, a partire dal 1952 ("I 100 più grandi film di tutti i tempi"), basata sulle scelte di operatori professionali del settore e articolata in due sottoclassifiche: da una parte, critici, programmatori, archivisti e accademici, e dall'altra registi e cineasti (nell'ultimo sondaggio del 2022, rispettivamente 1639 e 480 persone). Se prendiamo come anno di riferimento il 2022, i primi dieci nella classifica IMDb erano: 1. Le ali della libertà/The Shawshank Redemption (Frank Darabont, USA 1994) 2. Il Padrino/The Godfather (Francis Ford Coppola, USA 1972) 3. Il cavaliere oscuro/The Dark Knight (Christopher Nolan, GB-USA 2008) 4. Il Padrino - Parte II/The Godfather Part II (Francis Ford Coppola, USA 1974) 5. La parola ai giurati/Twelve angry men (Sidney Lumet, USA 1957) 6. Schindler's list - La lista di Schindler/Schindler's list (Steven Spielberg, USA 1993) 7. Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re/The Lord of the Rings - The return of the king (Peter Jackson, Nuova Zelanda-USA 2003) 8. Pulp fiction (Quentin Tarantino, USA 1994) 9. Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'Anello/The Lord of the Rings - The Fellowship of the Ring (Peter Jackson, Nuova Zelanda-USA 2001) 10. Il buono, il brutto, il cattivo (Sergio Leone, Italia 1966) |
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Le ali della libertà/The Shawshank Redemption (Frank Darabont, USA 1994) |
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Ciò che forse colpisce in primo luogo è l'"età" di questi film: 7 su
dieci avevano, nel 2022, 28 anni o più, con punte di due film prodotti nel 1957 e
1966. Se consideriamo il grande successo commerciale di film distribuiti
nei precedenti 30 anni, stupisce che gli utenti del sito "si ricordino"
di film ben più vecchi e dimostrino quindi una specie di "memoria
storica" sorprendente. L'altro dato che colpisce è probabilmente la
capacità di questi 7 film non solo di suscitare emozioni, ma anche di
fornire elementi di riflessione etica - si tratta di film che, in modi
diversi, offrono anche "materiale su cui riflettere", che si tratti
direttamente di questioni legate alla giustizia (come in Le ali
della libertà o Schindler's list) o più largamente di tematiche che
sollevano interrogativi morali (come i due film sul Padrino). Ma persino i film
più recenti e di carattere piuttosto avventuroso (come la saga del
Signore degli Anelli e Il
cavaliere oscuro) non sono esenti da questioni che riguardano il Bene, il Male
e la lotta per inseguire ideali. Al contrario, colpisce infine l'assenza
di film più direttamente "di evasione" e di generi considerati spesso
più "leggeri" come le commedie o i film comici.
Consideriamo ora le scelte operate, sempre nel 2022, dai critici intervistati da Sight and Sound: 1. Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles (Chantal Akerman, Belgio-Francia 1975) 2. La donna che visse due volte/Vertigo (Alfred Hitchcock, USA 1958) 3. Quarto potere/Citizen Kane (Orson Welles, USA 1941) 4. Tokyo Story (Ozu Yasujiro, Giappone 1953) 5. In the mood for love (Wong Kar Wai, Hong Kong-Francia 2000) 6. 2001- Odissea nello spazio/2001: A space odyssey (Stanley Kubrick, UK-USA 1968) 7. Beau travail (Claire Denis, Francia 1998) 8. Mulholland Drive (David Lynch, USA 2001) 9. L'uomo con la macchina da presa/Man with a movie camera (Dziga Vertov, USSR 1929) 10. Cantando sotto la pioggia/Singin' in the rain (Stanley Donen e Gene Kelly, USA 1952) |
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Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles |
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In questo caso 6 su 10 sono film comparsi più o meno nei primi sei decenni del Novecento - film che potremmo etichettare come ampiamente riconosciuti come "classici", e persino come "pilastri" della storia del cinema. E' chiaro che scegliere questi film implica una conoscenza non superficiale del settore e dei modi di giudicare come "belli" film anche molto diversi tra loro (il che implica la presenza di criteri di giudizio diversificati). Ma anche altri film più recenti (come In the mood for love o Mulholland Drive) hanno già sedimentato il loro valore, specialmente agli occhi di spettatori in qualche misura "competenti". Sorprende invece la presenza di due film di carattere più "sperimentale" e certamente non "popolari" in senso stretto come Jeanne Dielman e Beau travail, oltre a tutto anch'essi abbastanza distanti dal tempo presente (1975 e 1998). Anche in questo caso, comunque, si tratta di film che, sia pure per motivi diversi, possono aver colpito in modo particolare chi si occupa di cinema in modo più professionale. Come per la classifica degli utenti di IMDb, anche i critici interpellati da Sight and Sound non hanno certamente scelto film "di evasione" ma piuttosto film che, in un modo o nell'altro, si distinguono per l'"impegno" dei rispettivi registi, soprattutto sul piano stilistico ed estetico. A onor del vero, occorre ricordare che questa classifica (e, in particolare, la scelta del Numero 1) sono state ampiamente criticate, sottolineando la soggettività di tutta l'operazione e mettendo in discussione il suo stesso significato: "Nella fretta di classificare il cinema, sono state create liste dei più grandi film di tutti i tempi, che forse dicono molto di più sulla società che le compila che sul cinema stesso." (Nota 6) Colpisce ovviamente molto anche la divergenza tra le due classifiche esaminate: gli utenti di IMDb e i critici di Sight and Sound hanno scelto come primi dieci film totalmente diversi. Ciò implica l'utilizzo di criteri di "qualità" (come quelli che discuteremo nelle prossime sezioni) diversificati e in parte tra loro alternativi. Tuttavia, al di là di queste macroscopiche differenze, è interessante notare che in entrambi i casi i film scelti sono in qualche misura ricchi di elementi che si prestano alla riflessione e alla discussione, per i temi trattati e/o per le scelte stilistiche ed estetiche che li connotano. 3. Il successo commerciale Si tratta di un criterio un po' a se stante rispetto agli altri, poichè è rappresentato da elementi misurabili: se infatti il successo critico di un film, come osservato nella sezione precedente, può riferirsi alla critica di giornalisti, accademici, e così via, per il successo commerciale parliamo di incassi al botteghino, cioè di numero di biglietti staccati nelle sale (con i loro corrispettivi riguardo ai servizi televisivi o di streaming, come il numero di spettatori sintonizzati su un canale, il numero di visualizzazioni o di video scaricati da Internet). Il fatto che si stia parlando di fattori misurabili non rende ovviamente questo criterio oggettivo di per sè: il numero di spettatori o di utenti, infatti, non corrisponde automaticamente ad una valutazione positiva data ad un certo film. Innanzitutto, non sappiamo quanti spettatori abbiano scelto in modo consapevole e deliberato un certo spettacolo: potrebbe trattarsi di una scelta di comodo, dettata da mille ragioni diverse (la vicinanza di un cinema, il desiderio di passare comunque una serata con gli amici, la scelta "dell'ultimo momento" fatta prima di entrare in una delle sale di un multiplex, la voglia di fare qualcosa di diverso un sabato sera ...); oppure di una scelta condizionata da altri (il desiderio di far contenti il proprio partner, i propri bambini, i propri amici ...); o ancora, di una scelta un po' "obbligata" (vedere un certo film di cui si è molto parlato, ad esempio per rispettare le scelte del proprio gruppo di riferimento, per non sentirsi "esclusi", per apparire "aggiornati" di fronte ad altri o anche di fronte a se stessi ...). Nel caso di DVD/Blu-Ray acquistati, non sappiamo quanti siano "piratati", nè la misura della loro circolazione (se ne possono fare copie da regalare ad amici ...); e lo stesso vale per i servizi di streaming con le copie "scaricate" illegalmente. E quanti utenti di canali televisivi o di servizi di streaming hanno magari interrotto la visione prima della fine o, al contrario, hanno rivisto lo stesso film una o più volte? Ma il numero di spettatori "paganti" non equivale necessariamente ad altrettanti giudizi positivi anche per un altro motivo, forse ancora più cruciale: non sappiamo infatti quanti spettatori, al termine della visione, giudichino il film appena visto "un bel film", nè in quale misura e, soprattutto, in base a quali criteri (nè tantomeno sappiamo quanti tra loro si siano pentiti di aver scelto proprio quel film!). Ecco perchè l'unico criterio basato su fattori misurabili (il successo commerciale in termini di profitti generati, anche rispetto al budget investito) non garantisce un livello di oggettività - anche se, nella percezione comune, un film "campione di incassi" sembra implicare un gradimento generalizzato da parte del pubblico (e pur nell'eterogeneità di quest'ultimo). Inoltre, il successo (o il fallimento) commerciale di un film può essere comunque accompagnato (o meno) da valutazioni positive che si esprimono in una varietà di modi diversi, ad esempio, con la nomea che si diffonde in rete, con l'acquisto di prodotti legati al film (merchandising), con l'impatto che il film stesso può avere nelle opinioni, nei gusti, perfino nelle abitudini quotidiane di persone che magari hanno visto solo una volta, e frettolosamente, il film stesso - e ci sono film "di moda" in un certo momento che esauriscono in fretta il loro fascino e, dopo magari una grossa fiammata di interesse, cadono spesso nell'oblio. Tutti questi fattori ci inducono a considerare che il "successo" di un film è un criterio solo in parte "misurabile", e che molti film, per una varietà di motivi, possono continuare ad essere visti ed apprezzati da una varietà di pubblici anche se questi ultimi rimangono in un certo senso "invisibili" perchè non rientranti a pieno titolo nelle cifre del botteghino. Nell'era di Internet, con la disponibilità online di quasi tutto il cinema presente e di una certa parte del cinema passato, non è possibile conoscere quanti spettatori ha avuto, e/o continua ad avere, un certo film, anche e soprattutto a distanza di mesi o di anni dalla sua prima distribuzione. Ed anche la distribuzione stessa nelle sale, che obbedisce a ben precisi criteri di mercato, condiziona in modo determinante il numero dei potenziali spettatori: mentre i multiplex delle grandi città possono, nello loro dieci o quindici sale, offrire contemporaneamente molti film diversi, e tenerli "in cartellone" anche per tempi medio-lunghi, nei piccoli centri sono spesso disponibili solo i blockbuster o film di successo pressochè garantito, proiettati magari solo nel giro di un weekend. E se in passato film poi divenuti celebri hanno cominciato con l'essere proiettati solo in poche sale di una grande città, per poi raggiungere una certa popolarità grazie al "passaparola", oggi un film che si intende promuovere subito viene distribuito in contemporanea in migliaia di sale; e il numero di biglietti venduti nel primo weekend di programmazione conta, al punto da ripagare magari in pochi giorni il costoso budget di partenza. Dietro i numeri asettici degli incassi, inoltre, si celano profonde differenze che riguardano la composizione del pubblico di riferimento, il che rende il criterio del successo commerciale ancora più relativo. Sappiamo, ad esempio, che i frequentatori delle sale sono in maggioranza giovani, che nelle grandi città si va al cinema più spesso che nei piccoli centri, e che, come per altri consumi culturali, la condizione socio-economica e professionale può essere determinante. Può essere interessante confrontare i risultati mondiali al botteghino nel 2022 con le classifiche del sondaggio del sito IMDb e del sondaggio della rivista Sight and Sound dello stesso anno, citati nella sezione precedente. I primi dieci che hanno incassato di più nel 2022 secondo Box Office Mojo (sito del gruppo IMDb) sono stati: 1. Avatar - La via dell'acqua/Avatar - The way of water (James Cameron, USA 2022) 2. Top Gun: Maverick (Joseph Kosinski, USA 2022) 3. Jurassic World - Il dominio/Jurassic World Dominion (Colin Trevorrow, USA 2022) 4. Doctor Strange nel Multiverso della Follia/Doctor Strange in the Multiverse of Madness (Sam Raimi, USA 2022) 5. Minions 2: Come Gru diventa cattivissimo/Minions: The rise of Gru (Kyle Balda, Brad Ableson e Jonathan del Val, USA 2022) 6. Black Panther: Wakanda forever (Ryan Coogler, USA 2022) 7. The Batman (Matt Reeves, USA 2022) 8. Thor: Love and Thunder (Taika Waititi, USA 2022) 9. Water Gate Bridge (Tsui Hark e Chen Kaige, Cina 2022) 10. Il gatto con gli stivali 2: L'ultimo desiderio/Puss in boots: The last wish (Joel Crawford, USA 2022)
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Avatar - La via dell'acqua/Avatar - The way of water (James Cameron, USA 2022) |
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Come si vede, nessuno dei titoli di maggior successo al botteghino nel 2022 compare in entrambe le classifiche menzionate. Come interpretare questi dati? Da un lato, occorre ricordare che i sondaggi citati chiedevano di menzionare i film ritenuti più "belli" o "grandi" nell'arco temporale di tutta la storia del cinema (o per lo meno di tutti i film di cui gli interpellati avevano cognizione, senza limitazioni di tempo), mentre i dati "duri" del botteghino fanno riferimento ai film più visti al cinema nel corso di un solo anno. Abbiamo visto che nella memoria di spettatori e di critici si sono sedimentati film anche molto lontani nel tempo, il che implica uno sguardo prospettico di ampia portata. Dall'altro lato, il successo commerciale di un film, per non parlare del "successo" definito secondo altri criteri di cui abbiamo discusso, può essere clamoroso ma anche limitato nel tempo: quanti tra i film più visti nel 2022 hanno continuato ad avere successo negli anni successivi, e, soprattutto, quanti si sedimenteranno a loro volta nella memoria di spettatori e critici a distanza di anni o decenni? 4. L'uso brillante delle tecnologie Molti film sono stati apprezzati, e continuano ad esserlo, per l'uso efficace, a volte considerato addirittura "magistrale" delle tecnologie. Il cinema, di per sè una tecnologia innovativa e relativamente recente, è sempre stato attento e tempestivo nell'utilizzare gli sviluppi tecnologici che si rendevano man mano disponibili, dall'integrazione tra immagini e suoni alla fine degli anni Venti del secolo scorso all'utilizzo sempre più sofisticato del colore, dai grandi formati panoramici dello schermo all'uso del computer in tutte le fasi della produzione di un film fino ai più recenti sviluppi dell'Intelligenza Artificiale. Il cinema è certamente fatto anche di tecnologie, e i suoi prodotti possono essere giudicati anche in base ai modi di utilizzarle da parte dei cineasti. Ciò riguarda sia il lavoro di produzione di un film che le modalità di consumo da parte del pubblico. Nel primo caso, le tecnologie sono all'opera, più o meno massicciamente, sia in fase di pre-produzione (ad esempio, nel casting, nella stesura della sceneggiatura, nell'approntamento delle locations, degli arredi, dei costumi, ecc.), sia in fase di produzione vera e propria (ad esempio, nella scelta e utilizzo delle macchine di ripresa, degli obiettivi, delle luci, dei dispositivi di registrazione, ecc.), sia in fase di post-produzione (ad esempio, nel montaggio, nell'utilizzo dei suoni, della musica, degli effetti speciali, ecc.). Ma anche sul versante della fruizione da parte del pubblico le tecnologie hanno giocato e giocano un ruolo cruciale: pensiamo soltanto alle innovazioni sia nel settore video (come nell'adozione di grandi schermi e di proiettori digitali) sia nel settore audio (come nell'utilizzo di diffusori del suono ad alta fedeltà). Adottando prontamente le nuove tecnologie via via emergenti, il cinema è stato in grado di far fronte ai suoi momenti di crisi, come la concorrenza spietata della televisione a partire dagli anni '50 o delle nuove opportunità di visione fornite dalla rivoluzione digitale e da Internet in tempi più recenti. Naturalmente, gli spettatori differiscono molto tra di loro anche riguardo alla misura in cui sono sensibili o interessati agli aspetti più tecnologici della visione di un film, aspetti che possono diventare più o meno importanti nella valutazione che viene data del film stesso. Ancora una volta, il pubblico è fatto di persone che portano con sè un bagaglio di conoscenze, di competenze, di esperienze molto diversificato, che li rende più o meno pronti ad utilizzare anche il criterio dell'"eccellenza tecnologica" nel giudizio complessivo su un film. Ci sono spettatori molto attenti, ad esempio, all'utilizzo che in un film viene fatto delle inquadrature, del montaggio, della colonna sonora, ed altri la cui attenzione è piuttosto limitata alla storia, agli interpreti e allo sviluppo narrativo, per i quali gli aspetti tecnici, formali o stilistici passano in secondo piano o vengono addirittura ignorati. Certamente le reazioni degli spettatori rispetto all'uso delle tecnologie, o per meglio dire del "linguaggio cinematografico" assistito dalle tecnologie, possono cambiare nel corso del tempo. Negli ultimi decenni, in particolare, i rapidissimi sviluppi delle tecnologie digitali e l'ampia disponibilità di dispositivi che permettono praticamente a chiunque di "fare del cinema" (come le videocamere, gli smartphone, i computer ...) hanno ridotto la distanza che tradizionalmente separava il cinema come "macchina delle meraviglie" e i suoi fruitori: oggi gli spettatori sono mediamente più "smaliziati", capaci di giudicare subito, ad esempio, la qualità degli effetti speciali o dell'utilizzo della colonna sonora. In un certo senso, abituati alle continue nuove "meraviglie" messe a disposizione dal mondo digitale, gli spettatori odierni pretendono sempre di più dal cinema, in particolare dalla proiezione in una sala cinematografica, e produttori, registi e professionisti del settore sono quindi stimolati a rispondere a queste nuove aspettative con continui miglioramenti ed adeguamenti - al punto da chiedersi se e in che misura il cinema "da sala" potrà resistere alla concorrenza del nuovo panorama multimediale. Consideriamo alcuni esempi in particolare. 4.1. Gli effetti speciali Se i ragazzi di oggi vedono un film di Georges Méliès, pioniere del cinema francese, possono giudicare subito gli effetti speciali prodotti da questo regista come goffi o ingenui - loro potrebbero magari fare di meglio anche solo maneggiando un computer casalingo o uno smarphone. Ma in questo modo dimenticano di situare il lavoro di Méliès nel contesto della sua epoca: questi filmati sono stati realizzati infatti pochi anni dopo la nascita del cinema, in modo artigianale e con pochissimi strumenti a disposizione. E gli effetti speciali scelti da Steven Spielberg per Lo squalo, con il mostro marino creato anche questo in modi che oggi definiremmo "artigianali" (e che, tra l'altro, si vede solo brevemente verso la fine del film) non sono certo paragonabili a quelli disponibili oggi grazie ai computer. Eppure, Lo squalo resta tuttora, a distanza di decenni, un film altamente convolgente e per nulla "datato" anche dal punto di vista spettacolare, a riprova che disporre di tecnologie sofisticate non è necessariamente una condizione imprescindbile per fare un "bel" film, e che tutto dipende in definitiva dalla padronanza del mezzo cinematografico (che è anche, ma non solo, tecnologia) da parte dei cineasti.
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Escamotage d'une dame chez Robert-Houdin ( |
Lo squalo/Jaws (Steven Spielberg, USA 1975) |
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4.2. Il montaggio Un discorso simile si potrebbe fare per il montaggio: se nei film odierni siamo ormai abituati all'alternarsi vorticoso e fantasmagorico di sequenze, ci dimentichiamo che, mentre oggi tutto questo è reso possibile, e relativamente facilitato, dalle nuove tecnologie, in tempi ormai un po' lontani i risultati comunque stupefacenti ottenuti da registi come Eisenstein (lui stesso un teorico del montaggio) in La corazzata Potemkin, o da Orson Welles in Quarto potere, erano il frutto di un meticoloso lavoro manuale di "taglia e incolla" non delegato ad un computer.
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La corazzata Potemkin/Бронено́сец «Потёмкин» (Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, URSS 1925) |
Quarto potere/Citizen Kane (Orson Welles, USA 1941) |
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4.3. Il piano-sequenza Il piano-sequenza, ossia una lunga ripresa ininterrotta e senza stacchi di montaggio, è tornato a far parlare di sè in questi ultimi anni per alcuni esempi, considerati da molti magistrali. Anche in questo caso è bene contestualizzare dal punto di vista storico l'utilizzo di questa modalità di ripresa. Non si tratta certamente di una novità: viene spesso citato l'esempio di Nodo alla gola di Alfred Hitchcock, in cui l'azione si svolge effettivamente "in tempo reale", nel senso che la durata del film coincide con il tempo dell'azione messa in scena (realizzando, in altre parole, un'unità di tempo e di luogo). In realtà, all'epoca di questo film, non esistevano pellicole di lunghezza tale da permettere una ripresa così lunga, e così Hitchcock montò assieme una serie di riprese, raccordate tra loro in modo quasi impercettibile. E' chiaro che un tale risultato può essere apprezzato solo da chi ha una conoscenza pregressa del film e/o delle tecniche cinematografiche di Hitchcock. Anche altri film più recenti, come Birdman di Alejandro Gonzales Inarritu o 1917 di Sam Mendes sono riusciti a suggerire l'idea di un piano-sequenza, anche se in realtà si tratta del risultato di sofisticate operazioni di montaggio (che comunque possono essere apprezzate da alcune schiere di spettatori). Veri e propri piani-sequenza, in cui realmente la ripresa è ininterrotta, senza stacchi, sono piuttosto rari: segnaliamo ad esempio Arca russa di Aleksandr Sokurov, che, anche per l'effetto prodotto da questa lunghissima ma fluidissima ripresa, è stato apprezzato da molti; o il recente Boiling point di Philip Barantini, che riesce a tener desta l'attenzione del pubblico, ed anzi, a creare vera tensione drammatica, con un virtuosistico e magistrale uso del piano-sequenza. Resta comunque il fatto che per molti spettatori può non essere facile accorgersi che stanno guardando un piano sequenza: dopo tutto, il fascino e il potere di questo modo di effettuare una ripresa sono legati proprio al fatto di voler essere impercettibile ... |
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Arca russa/Русский ковчег (Aleksandr Sokurov, Germania-Russia 2002) |
Boiling point - Il disastro è servito/Boiling point (Philip Barantini, GB 2021) |
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4.4. Competenza del pubblico e realismo della messa in scena "Il pubblico è così competente in materia che se uno fa la più piccola stronzata si può essere certi che la cosa si diffonderà in lungo e in largo su IMDb." James Gray (Nota 7) Si è già detto che gli spettatori odierni sono non soltanto più "smaliziati", ma anche più competenti: grazie alla familiarità con i mezzi di produzione audiovisiva, sono in grado spesso di giudicare quello che vedono sul grande schermo e di identificare anche minimi "errori" commessi dal regista (o dal direttore della fotografia, dal montatore, dallo sceneggiatore e così via) - in una misura impensabile fino a pochi anni fa. Così il giudizio finale su un film può essere inficiato da dettagli anche minimi, ma che agli occhi degli spettatori più attenti costituiscono veri e propri "peccati capitali". Non solo, ma questi commenti critici vengono spesso condivisi in rete da parte di comunità cinefile, o da semplici appassionati di un genere di film, di una serie o di una saga, diventando così "virali", come afferma James Gray in questa citazione. Anche in questo caso, tuttavia, le conoscenze ed esperienze precedenti da parte degli spettatori possono fare la differenza: se alcuni "errori" di montaggio possono essere stigmatizzati in un film di supereroi, se visti invece, ad esempio, in un film di Jean-Luc Godard, noto sperimentatore, potrebbero essere considerati come scelte stilistiche adottate in modo consapevole dal regista per raggiungere uno scopo preciso. Come esempio di questa attenzione, a volte spasmodica, che alcuni spettatori rivolgono ad un film, e di questa loro capacità di essere critici molto esigenti, basta consultare i commenti che gli utenti di siti specializzati (come il più volte citato IMDb) diffondono in rete: gli errori "tecnici" (goofs) vengono elencati in modo meticoloso - anche se non sempre ciò implica un giudizio negativo sui film. A proposito di Fury uno spettatore scrive: "Da dove cominciare... Non mi definisco uno storico, ma nutro un vivo interesse per questo periodo storico, è un'epoca affascinante e orrenda, questo [film] ... non fornisce alcun fatto o dettaglio storico, è fondamentalmente un film di sparatorie ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale ... Mi sorprende che non ci abbiano messo qualcuno che picchia Hitler, [o] che colpisca Goebbels in una sequenza d'azione in un bunker." (Nota 8) |
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Fury (David Ayer, USA-Cina-GB 2014) |
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Allo stesso modo, grazie a questi spettatori così attenti e pignoli, scopriamo che Julia Roberts in Pretty woman, durante la
stessa scena, mangia un croissant in una inquadratura, ma un
pancake nell'inquadratura seguente ...; che Cillian Murphy in
Oppenheimer viene acclamato da persone che sventolano bandiere
americane con 50 stelle ... ma che nel 1945, quando si svolge la scena,
sulla bandiera c'erano solo 48 stelle ...; che in The Holdovers,
ambientato negli anni '70 del secolo scorso, sono chiaramente visibili
auto moderne parcheggiate in una scena ...; e che nella famosa scena
della corsa delle bighe in Ben Hur uno degli attori indossa un orologio
... e così via ... 5. La visione di un film ... tra mente, cuore e corpo La capacità di un film di stimolare
riflessioni (cioè il suo valore "edificante") e la sua capacità
di provocare emozioni (cioè il suo valore "emozionante") sono in realtà
due fattori strettamente connessi tra loro, e in certo senso
indivisibili. Elaborare informazioni e provare emozioni (lavorare cioè
"con la mente" e lavorare "con il cuore") non sono due processi
distinti, anche se molte tradizioni di pensiero, sopratutto occidentali,
hanno da sempre scisso cognizione ed emozione. Le
emozioni non sono infatti semplicemente la risposta dell'organismo ad
uno stimolo, ma sono tutt'uno con la mente che elabora quello stimolo, e
l'emozione è parte integrante del processo di comprensione e di
interpretazione. Le stesse capacità sensoriali, tramite cui
percepiamo stimoli provenienti da un input esterno,
accompagnano sin dall'inizio l'attività della mente volta a decodificare
e fornire di senso il contenuto di quegli stimoli. Anche guardando un
film, la comprensione, l'interpretazione e la valutazione di ciò che
vediamo e sentiamo (attività cognitive) vanno di pari passo con le
emozioni che le immagini e i suoni percepiti dai nostri sensi (attività
affettive) provocano in noi. Secondo questa prospettiva, dunque, ha
un senso molto relativo separare riflessione ed emozione, ed il valore
di un film può essere giudicato considerando insieme, come inscindibili,
l'aspetto "edificante" con quello "emozionante" 6. Il valore edificante di un film Non è raro che un film venga apprezzato (e si consideri dunque "un bel film") se al termine della visione lo spettatore ha la sensazione di aver imparato qualcosa, di essere diventato in qualche misura più informato o sensibilizzato, e ciò rispetto ad una vasta gamma di argomenti o aspetti: ad esempio, su eventi o personaggi storici; su situazioni e contesti geografici, sociali, politici; su idee o ideologie; ed anche su se stessi, in quanto spettatori e in quanto persone, fino a comprendere una migliore comprensione di significati profondi che riguardano lo spazio, il tempo, la vita umana ... Come sempre, non tutti gli spettatori condividono questo modo di avvicinarsi ad un film, nè il desiderio o la necessità di trarre dal film significati che vanno al di là del semplice "godimento" di una storia, di un personaggio, di un interprete (qualunque cosa si possa intendere per "godimento"). Come si è già detto, le aspettative in base alle quali si sceglie un film e ci si prepara alla sua visione possono essere tante e varie quanto gli spettatori stessi; e dunque anche la valutazione positiva di un film sulla base del suo potenziale di "arricchimento personale" dipende in primo luogo dall'atteggiamento e dalla motivazione sottese all'"uso" che si intende fare di un film. L'apprezzamento di un film dal punto di vista del suo valore istruttivo, educativo o comunque "edificante" dipende anche molto dalle conoscenze ed esperienze pregresse di ogni spettatore. Se, ad esempio, conosco bene la storia narrata e/o i suoi personaggi, o le situazioni e i contesti messi in scena, mi sarà più facile confrontare ciò che già conosco con il "nuovo" che mi offre il film, e uscirne quindi dalla visione con la sensazione di aver imparato qualcosa piuttosto che di avere assistito ad una parata di cose per me "vecchie" e ovvie. Lo scarto tra "vecchio" e "nuovo", o tra il "già noto" e le "scoperte" dipendono dunque dalla familiarità con i contenuti e le idee veicolate dal film, o, in altre parole, dalla distanza tra le mie conoscenze/esperienze e ciò che il film mette in scena. Un film appartenente ad una cultura diversa dalla mia può essere più difficile da comprendere e giudicare: al di là della lingua utilizzata, e a prescindere dagli eventuali sottotitoli, che comunque non sempre aiutano a seguire in modo fluido i dialoghi, anche i gesti, i rapporti interpersonali, le situazioni e i contesti di un film possono essere difficili da interpretare, ed il rischio del "fraintendimento interculturale" è sempre in agguato. Anche i modi stessi di usare il linguaggio cinematografico, strettamente legati alle scelte artistiche ed estetiche del regista e dei suoi collaboratori, possono creare qualche problema di interpretazione, e, di conseguenza, di valutazione. Un film come Rashomon, incentrato sulle diverse versioni che dell'omicidio di un samurai vengono fornite da alcuni personaggi, può sicuramente prestarsi a letture più approfondite da chi conosce la storia giapponese e sa valutare i diversi contesti sociali e culturali che fanno da sfondo ai singoli personaggi.
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Rashomon (Akira Kurosawa, Giappone 1950) |
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Lo stesso tipo di difficoltà può insorgere rispetto al periodo storico
in cui è ambientato il film. Un film come Barry Lyndon di
Stanley Kubrick può essere apprezzato in modo generico da una platea
indifferenziata di spettatori, ma chi possiede nozioni sul Settecento,
sulle guerre che hanno infestato quel secolo e sulle regole sociali e
culturali dell'epoca potrà trovare motivi più profondi di apprezzamento.
Lo stesso può dirsi di un film come Il gattopardo di Luchino
Visconti, con la sua descrizione della decadenza delle classi nobiliari
all'epoca della formazione del Regno d'Italia a metà Ottocento. (Tra
parentesi, lo spettatore più "esperto" potrà trovare motivi di
apprezzare anche la pignoleria con cui registi come Kubrick e Visconti
curavano la precisione, l'accuratezza e l'autenticità della messa in
scena, fino ai più minuti dettagli.) Al contrario, abbiamo appena visto
che spettatori ben informati sulle vicende ed i contesti della Seconda
Guerra Mondiale riescono facilmente ad identificare gli errori "tecnici"
commessi nel film. |
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Barry Lyndon (Stanley Kubrick, GB 1975) |
Il gattopardo (Luchino Visconti, Italia-Francia 1963) |
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Soprattutto in passato, un film ambientato in un periodo e in un
contesto che si potevano presumere non proprio familiari per gli
spettatori poteva anche iniziare con alcune spiegazioni e
contestualizzazioni: ad esempio, Casablanca di Michael Curtiz si
apre con un riepilogo abbastanza dettagliato della situazione politica
del Marocco durante la Seconda Guerra Mondiale, fornendo direttamente
informazioni (corredate da mappe) che si riveleranno cruciali per la
comprensione degli eventi e dei personaggi descritti nel film. Oggi
questo tipo di "informazioni preventive" è diventato più raro, limitato
per esempio alla scritta iniziale "Tratto da una storia vera"; sono
invece molto frequenti, al termine di un film, le immagini che mostrano
le vere persone la cui storia è narrata dal film, e/o ulteriori
infomazioni circa, ad esempio, il destino finale di queste persone o
l'evoluzione successiva della questione trattata nel film stesso. E' il
caso di American Graffiti, in cui alla fine del film ci viene
detto che fine hanno fatto i personaggi, colti in un momento cruciale
della loro vita (il termine della scuola superiore, l'inizio del
college) e in una fase storica molto particolare (la guerra del
Vietnam). |
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Casablanca (Michael Curtiz, USA 1942) |
American Graffiti (George Lucas, USA 1973) |
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"Meno si ha esperienza di un argomento, più si crederà a ciò che si
vede." (Nota 10) Certamente, sulla base di una generica convinzione che un film rispecchi la realtà, si può avere la tendenza ad accettare senza riserve personaggi, eventi, situazioni, dettagli di cui non si ha conoscenza ed esperienza diretta: non a tutti ovviamente è capitato di partecipare ad una festa di super-ricchi o di sparare al proprio aggressore (nè tantomeno di affrontare degli alieni o di navigare nel Metaverso). Al contrario, se il film ci propone una disamina dei rapporti tra insegnante e studenti in un classe, c'è più probabilità di potersi identificare con questi personaggi e valutare quindi l'autenticità e la verosimiglianza con cui vengono descritti (tutti noi siamo stati studenti, e alcuni degli spettatori sono o sono stati insegnanti). Più complessa è la questione della familiarità (o della distanza) psicologica tra noi e dei personaggi con cui, in via preliminare, condividiamo poco o nulla: ma anche in questo caso vale il principio di "sospensione dell'incredulità", per cui, da questo punto di vista, un "bel" film potrebbe essere quello che riesce, sia pure per il tempo limitato della durata del film, a farci identificare, o per lo meno a farci simpatizzare o empatizzare, con l'eroina di Million Dollar Baby (anche se siamo uomini) e con i personaggi gay di I misteri di Brokeback Mountain (anche se siamo eterosessuali). |
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Million Dollar Baby (Clint Eastwood, USA 2004) |
I segreti di Brokeback Mountain/Brokeback Mountain (Ang Lee, USA 2005) |
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Più complessa ancora è la questione del valore "edificante" di un film
che potremmo apprezzare per la percezione che ci offre di stati mentali,
di dilemmi morali, di significati esistenziali come il senso della vita
o della morte ... e qui entriamo su un terreno scivoloso ed altamente
soggettivo, in cui molti (o alcuni) possono pensare che un film, in
quanto opera d'arte, possa andare ben al di là della mera
rappresentazione di storie e personaggi ed aspirare invece a trasmettere
il senso più profondo dell'esperienza umana; e che la macchina da presa
non si limiti a registrare ciò che è stato posto di fronte ad essa, ma
possa farci almeno intravvedere l'invisibile e l'inaccessibile che si
cela dietro e sotto le cose. Di fronte a film che, più o meno
consapevolmente, offrono suggestioni e intuizioni e non solo fatti e
circostanze, le opinioni degli spettatori possono ovviamente variare
moltissimo. Un utente di IMDb ha fornito questa recensione (qui
sintetizzata) di The Tree of Life di Terrence Malick (Nota 11): "The Tree of Life è un'esperienza fondamentalmente polarizzante di altissimo livello. C'è chi lo vede come un pasticcio. Un pasticcio sentimentale e artistico. Uno spot pubblicitario di due ore per un profumo, pieno di inquadrature e scene astratte "significative". Un miscuglio di banalità assurde sussurrate e di un sentimentalismo pretenzioso, "significato della vita" irritantemente superficiale ... Altri, invece, vedono The Tree of Life come una meditazione elegiaca sulla memoria e sul dolore. Penseranno che sia un poema lirico e visivo. Vedranno discussioni sulla memoria familiare, l'attrito tra padre e figlio, la nascita della moralità, l'Universo e le verità universali." Giustamente l'utente sottolinea che il film si presta ad opinioni "polarizzate". Ciò che può dare adito a questi disaccordi è soprattutto la natura difficilmente percettibile delle esperienze descritte, con l'inevitabile conseguenza che le parole per descrivere ciò che viene percepito dagli spettatori sono così astratte da rasentare la soggettività estrema. Che cosa, infatti si può intendere per "poema lirico e visivo"? E soprattutto, come condividere con altri spettatori concettualizzazioni astratte come "le discussioni sulla nascita della moralità, l'Universo e le verità universali"? Qui le differenze all'interno del pubblico si fanno quasi insormontabili, e non possiamo che accettare che The Tree of Life possa essere "un bellissimo film" per alcuni ed un "insopportabile pasticcio" per altri ... |
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![]() The Tree of Life (Terrence Malick, USA 2011) |
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Certamente la questione è resa molto complessa dal fatto che i
significati trasmessi da un film sono, come è stato detto, di fatto
rielaborati e ricostruiti dagli spettatori, i quali possono in tal modo
trascendere gli intenti originari del regista e/o dello sceneggiatore
(ammesso che sia possibile conoscere in dettaglio le opinioni dei
cineasti. La tematica trattata da un film, ad esempio, può essere
generalizzata ben oltre i personaggi e gli eventi narrati dal film
stesso, acquistando un valore più universale, che spesso non sappiamo
quanto sia stato esplicitamente previsto dal progetto originario. La
parabola della protagonista di Million Dollar Baby, che insegue
il suo sogno di diventare una campionessa della boxe professionistica
femminile ma, in seguito ad un colpo scorretto subito durante un
incontro, rimane paralizzata e chiede pertanto al suo allenatore (anche
e soprattutto figura paterna) di porre fine alle sue sofferenze, si
presta ad assumere significati profondi ed universali, dal rapporto
genitori/figli ai valori ambigui che può trasmettere una certa visione
del successo sportivo fino alla questione morale sollevata
dall'eutanasia. E I segreti di Brokeback Mountain sollecita,
anche oltre l'empatia con cui si possono guardare i personaggi,
riflessioni più profonde sulla diversità, sull'intolleranza e sul peso
dei contesti e dei condizionamenti sociali nel determinare i destini
personali degli individui. In definitiva, i significati, i valori, le idee (o ideologie) che si possono ritrovare in un film si situano a livelli diversi di profondità di comprensione ed interpretazione: i film possono dire o vogliono dire più cose contemporaneamente ad una varietà di spettatori - e a volte questi "messaggi" possono essere (volutamente o meno) carichi di ambiguità. Ad esempio, in molti film centrati su gangster o altri tipi di "criminali" queste figure sono tratteggiate in modo tale da assumere una statura quasi "eroica", risultando a volte più attraenti dello loro vittime - con una chiara ambivalenza dal punto di vista morale. Dato che poi, praticamente sin dall'inizio, il cinema è stato accusato di proporre modelli negativi, in tema soprattutto di violenza e di sesso, non stupisce che, particolarmente in momenti di passaggio e di crisi, i film stessi si siano presi l'onere di "avvertire" gli spettatori rispetto ai significati trasmessi, quasi a voler "mettere le mani avanti" rispetto a possibili accuse di immoralità (messaggi che a volte, paradossalmente, possono aver aiutato i film ad ottenere un successo maggiore del previsto, e che, in ogni caso, non impediscono agli spettatori di reagire in modi a volte inaspettati, facendo dunque "parlare" un film in modo diverso da quanto atteso). Scarface, ad esempio, che narra la tumultuosa vicenda di un boss mafioso tradito dall'amore morboso per la sorella, era potenzialmente un film "a rischio" (ed in effetti la sua uscita fu rimandata di un anno dalla censura), per cui all'inizio furono posti delle scritte che, non soltanto invitavano il pubblico a "prendere le distanze" da quanto avrebbero visto, ma stimolavano le pubbliche autorità a contrastare in modo più efficace queste gang criminali. Leggiamo così che "Lo scopo di questo film è di chiedere al governo, "Che cosa avete intenzione di fare in proposito? Il governo è il vostro governo. Che cosa voi intendete fare?" E lo stesso titolo originale recita "Scarface, la vergogna di una nazione". Cinquant'anni dopo, Making love, uno dei film che per primi parlava apertamente di omosessualità, fu altrettanto cauto nel rivolgersi al pubblico, sin dal trailer che testualmente recava questo messaggio: "Crediamo che Making love apra nuove strade nel ritratto sensibile di una giovane dirigente che scopre che suo marito sta sperimentando una crisi rispetto alla sua identità sessuale. Making love tratta apertamente e in modo onesto questo tema delicato. Non è sessualmente esplicito. Ma può essere troppo forte per alcune persone. Making love è coraggioso ma sensibile. Siamo orgogliosi della sua onestà. Applaudiamo il suo coraggio". Naturalmente questa "cautela", con cui si cerca di non urtare la sensibilità di nessuno, si riflette nella superficialità con cui alla fine vengono descritti personaggi e situazioni. Ma anche queso tipo di messaggi espliciti, che "svelano" l'ideologia dietro certe scelte, non impediscono agli spettatori di reagire nei modi più diversi. |
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Scarface/Scarface, shame of a nation (Howard Hawks, USA 1932) |
Making love (Arthur Hiller, USA 1982) |
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In questa complessa trama di rapporti tra un film, il suo "autore" e gli
spettatori, non è sempre facile determinare con chiarezza quanto un film
rifletta l'idea (o l'ideologia) del suo autore e in che misura lo
spettatore sia responsabile nell'attribuire ad un film un certo tipo di
significati e di messaggi. Certamente un film tende a riflettere la
società in cui viene realizzato, ma da sempre, e in particolare con
l'esplosione della comunicazione mediatica degli ultimi decenni, è anche
la società stessa a modellarsi sulle forme di comunicazione prodotte al
suo interno. Posso quindi, come spettatore, giudicare che un film non
rifletta la realtà che mi circonda, ma è indubbio che esso veicoli un
"immaginario collettivo", in cui posso o meno riconoscermi. In questo senso un film può veramente costituire uno specchio in cui gli spettatori possono riflettersi, venendo a contatto con storie e situazioni che magari hanno vissuto nella vita reale, che fanno parte della loro esperienza presente, o anche che aprono prospettive su vite e mondi possibili e alternativi. In tal modo si aumenta in modo significativo la valenza della visione, portando gli spettatori a scoprire qualcosa di sè, della comunità in cui vivono o, più in generale, della società di cui sono parte. Un film può cioè allargare gli orizzonti della mente, e, come abbiamo già detto, assumere significati più universali: un film sull'infanzia può, da un lato, farmi rivivere la mia infanzia, e da un altro lato portarmi a fare considerazioni sull'infanzia in generale. E un film come The father - Nulla è come sembra, trattando esplicitamente della demenza senile, può toccare corde sensibili e far riflettere sulle dimensioni psicologiche e sociali di questa esperienza, anche in spettatori che non stanno vivendo direttamente questo tipo di problemi. |
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The father - Nulla è come sembra/The father (Florian Zeller, Francia-GB 2020) |
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La visione cinematografica può a volte anche essere accostata ad un'esperienza
interculturale: il contatto con una cultura diversa dalla nostra,
che nelle sue forme più acute può assumere i connotati di un vero e
proprio "shock culturale", se da un lato ci fa toccare con mano le
differenze, dall'altro ci fa anche rendere conto della
relatività dei nostri usi, costumi e valori. In altre parole, il
contatto con il "diverso" (che il cinema può proporre) può rendere più
familiare il "nuovo" e al contempo rendere ciò che ci è familiare
"nuovo", nel senso di non dare più per scontata, inevitabile e assoluta
la nostra personale esperienza. E' il caso, ad esempio, di film
provenienti da culture anche molto lontane da quella occidentale (per
noi "standard", cioè scontata), che possono all'inizio risultare ostici
e "stranianti", ma che poi magari, proseguendo la visione e al termine
della stessa, ci fanno "aprire gli occhi" su realtà molto diverse
(ma per certi versi magari anche simili alla nostra, nel
profondo più che nella superficie di quanto vediamo e sentiamo). Come abbiamo più volte sottolineato, questa propensione a considerare un "bel" film uno che possiede in varia misura un valore "educativo" o "formativo" non appartiene certamente a spettatori che vedono nel cinema un'esperienza di pura "evasione". Ma tra gli estremi opposti della pura evasione da un lato e della profonda riflessione dall'altro esistono ovviamente anche molte posizioni intermedie. Lo stesso può dirsi del fatto di considerare un "bel" film uno che ci fa emozionare. 7. Il valore emozionante di un film Come si è detto, lo spettatore "incorpora" in senso quasi letterale le emozioni che vengono suscitate dalla visione di un film, comprendendo anche le emozioni dei suoi personaggi, con cui lo spettatore tende ad identificarsi. L'importanza di questa "somatizzazione", per cui è tutto il corpo, che insieme alla mente e al cuore, che elabora pensieri e percepisce emozioni, ci porta a considerare la valutazione di un film come un insieme inscindibile di apprezzamento estetico e di valore affettivo - in altre parole, le emozioni sono incarnate in quel tutt'uno che è l'organismo vivente. Fatta nuovamente questa premessa, riconosciamo però subito anche che il valore di un film in quanto portatore di emozioni (ossia la valutazione che un "bel" film è uno che emoziona) è strettamente dipendente dalle più volte citate differenze individuali: è incontestabile che, di fronte ad un melodramma romantico, ci sia chi arriva a piangere e chi non si senta per nulla commosso, come di fronte ad un film horror ci sia chi chiude gli occhi per non vedere e chi addirittura sorride di fronte all'efferatezza di certe scene. Ma le reazioni affettive cambiano anche nel tempo all'interno della stessa persona: quante volte chi siamo stupiti perchè un film che ci aveva magari turbato alla prima visione, dopo anni ci lasci invece indifferenti. Il film è chiaramente lo stesso, siamo noi che siamo cambiati, e insieme a noi è cambiata sicuramente la sensibilità dei pubblici che nel tempo si sono succedeti nella visione del film. Siamo infatti immersi in una cultura che cambia continuamente, a volte anche in modi repentini, rispetto a convinzioni, atteggiamenti, valori, motivazioni, e questa dimensione sociale delle reazioni provocate da un film non si può sottovalutare. In questo senso, anche le situazioni e i contesti in cui avviene l'esperienza della visione cinematografica hanno un impatto considerevole, anche se a volte non immediatamente percepibile: vedere un film comico da soli, piuttosto che con un gruppo di amici buontemponi, è chiaramente diverso, così come è diverso vedere un film romantico "strappalacrime" da soli piuttosto che con il proprio/la propria partner, o ancora, guardare un film nell'intimità del proprio salotto o in una sala accanto a decine o centinaia di altre persone di cui in qualche modo percepiamo le reazioni. Aggiungiamo ancora, trattando di differenze individuali, come le emozioni possano dipendere anche, per esempio, dalla comparsa sullo schermo di un attore o un'attrice che ammiriamo, o anche semplicemente dall'"atmosfera" che emana da un film che chiaramente appartiene ad un genere cinematografico a noi particolartmente gradito. E infine, non dimentichiamo che le nostre esperienze pregresse, cioè il bagaglio di pensieri, ricordi, atteggiamenti con cui ci avviciniamo alla visione di un film, influenzano la comprensione del film stesso e le emozioni che esso può (o meno) suscitare in noi. Lo straziante epilogo di I ponti di Madison County, quando la coppia interpretata da Meryl Streep e Clint Eastwood si separa per sempre dopo pochi giorni di felicità condivisa, avrà un impatto diverso a seconda degli spettatori, fino ad arrivare a chi direbbe che "se non hai vissuto una certa esperienza non puoi veramente capire questo film" (dove "capire", è evidente, significa non solo dare un senso alla storia ma provare le contestuali emozioni). |
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I ponti di Madison County/The bridges of Madison County (Clint Eastwood, USA 1995) |
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Proprio partendo da questa osservazione è interessante notare le
emozioni associate all'epilogo di film, e in particolare a quel "finale
lieto" (happy ending) che ha caratterizzato, e tuttora
caratterizza, una buona parte delle produzioni cinematografiche passate
e recenti. Un finale lieto è in genere apprezzato dagli spettatori,
anche se "lieto" può significare cose molto diverse (Nota 12): in
Pretty woman possiamo rallegrarci che, dopo tante peripezie che
avevano messo a rischio il rapporto della coppia Julia Roberts/Richard
Gere, nel finale lui scali letteralmente un palazzo per raggiungere lei
che lo attende, a guisa di un Principe Azzurro che libera la bella
imprigionata in un torrione. Ma nel finale di Amore sublime/Stella Dallas, quando la
madre, che la figlia aveva abbandonato anni prima, vede dall'esterno di
una casa la stessa figlia in procinto di sposarsi, siamo testimoni del
dolore, misto alla felicità, di Stella, che si allontana in lacrime ...
non è certo un finale "lieto" in senso stretto (certamente non lo stesso
di Pretty woman), ma partecipiamo alle emozioni trasmesse da
questa scena e forse ci identifichiamo con una madre che non può che
gioire delle nozze della figlia pur con il rimpianto di averla persa per
sempre ... Dunque, finali "positivi" per gli spettatori (almeno per
molti tra di loro), anche se il "piacere" dell'epilogo ha contenuti
molto diversi. |
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Pretty woman (Gary Marshall, USA 1990) |
Amore sublime/Stella Dallas (King Vidor, USA 1937) |
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Il tipico happy ending hollywoodiano è stato spesso criticato e
perfino disprezzato in quanto ritenuto manipolatorio nei confronti dello
spettatore, le cui emozioni verrebbero sollecitate secondo un piano ben
preciso, che prevede se, quando e come far ridere, far piangere, e così
via. Non solo, ma è stato ed è abbastanza facile "smascherare"
l'ideologia dietro molti di questi "finali lieti", nel senso di
scoperchiare l'intento di certi film che, per esempio, non fanno altro
che confermare lo status quo senza mettere in discussione certi
valori o atteggiamenti (ad esempio, la riconferma della coppia
eterosessuale come preludio ad un inevitabile matrimonio in Pretty
woman o il sacrificio materno richiesto dalla forza delle
convenzioni sociali in Stella Dallas). Tuttavia, se è lecito
accettare un'analisi critica dei valori e delle ideologie tramessi (più
o meno esplicitamente e più o meno consapevolmente) da un film, è
altrettanto lecito riconoscere agli spettatori il diritto di emozionarsi
e commuoversi a prescindere dal discorso critico sul film stesso. In realtà, queste considerazioni ci portano a sottolineare un fattore di più ampia portata, e cioè la distinzione tra etica ed estetica, o, in altre parole, l'apprezzamento di un film per il suo valore morale piuttosto che per il suo valore come opera d'arte. Anche in questo caso, si possono identificare, e non da oggi, posizioni diverse se non contrastanti, tra chi afferma che il valore estetico non può prescindere dal valore morale e chi difende un'opera a prescindere dai contenuti etici che può possedere. Secondo la prima posizione, le emozioni suscitate da un film sarebbero dunque accettabili solo se moralmente giustificate, o, in altre parole, contenuti eticamente non accettabili non possono comportare un apprezzamento estetico - un film non può essere "bello" se trasmette contenuti moralmente discutibili. La seconda posizione afferma il contrario, ossia che un "bel" film può essere anche uno dai contenuti moralmente ambigui: Oscar Wilde già aveva detto che "non esistono cose come un libro morale o immorale, I libri sono scritti bene oppure male, ecco tutto" (Nota 13). Wilde ovviamente separava drasticamente il valore estetico di un'opera, nel senso di capacità di far provare piacere, dal suo eventuale valore etico, nel senso di capacità sia di provocare una riflessione (quello che abbiamo chiamato "valore edificante" di un film) che di sollecitare reazioni affettive moralmente significative (ad esempio, di condivisione o di rigetto dei comportamenti dei personaggi del film). Sulla base di considerazioni di questo tipo possono nascere polemiche sulla responsabilità che i film hanno nella rappresentazione, ad esempio, della violenza, che il cinema potrebbe promuovere nella società, specialmente nei confronti di fasce di persone particolarmente sensibili o "a rischio", come i giovani. La questione è spinosa, e diventa ancor più rilevante quando è il regista stesso a fare delle scelte delicate in questo senso: Funny games, ad esempio, che mette in scena il massacro di una famiglia da parte di due giovani criminali, non arretra davanti a nulla e arriva a livelli di tensione violenta che molti spettatori hanno trovato insopportabile; e non importa che il regista Michael Haneke abbia adottato alcuni accorgimenti che, secondo lui, potevano "distanziare" gli spettatori dalle immagini (come il lasciare le uccisioni fuori campo, ma abbondando comunque nella visione del sangue, o, in una scena dove apparentemente uno dei due criminali viene eliminato, il permettere al suo compagno di "riavvolgere il nastro", tornando indietro nel tempo e riportandolo quindi in vita ...). Questi usi (qualcuno direbbe "abusi") del linguaggio cinematografico, come in altri film la rappresentazione della violenza come fosse un "fumetto", non impediscono comunque agli spettatori di rapportarsi a ciò che vedono e sentono, provocando spesso emozioni anche molto negative. E non consola certo il fatto che un film come Funny games, visto il successo ottenuto, sia stato rifatto quasi letteralmente, dallo stesso regista, per il mercato americano qualche anno dopo. |
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Funny games (Michael Haneke, Austria 1997) |
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Il fatto è che, una volta che ci accomodiamo davanti ad uno schermo,
diventiamo, volenti o nolenti, dei "voyeurs" - il cinema è sempre stato
ben consapevole di questo fatto, e ha saputo sfruttarlo in tutti i
possibili modi. Si pensi a Hitchcock, uno dei massimi teorici del ruolo
dello spettatore nella visione cinematografica: anche un film come
La finestra sul cortile, che pure non contiene scene
particolarmente violente (pur raccontando di un uomo che uccide la
moglie e la fa a pezzi), è tutto giocato sulla posizione del
protagonista James Stewart che, immobilizzato con una gamba ingessata,
non trova di meglio che osservare (o meglio, spiare) i vicini di casa,
anche usando un teleobiettivo: e noi spettatori, insieme a lui,
partecipiamo a questa smaccata intrusione nelle vite degli altri. |
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La finestra sul cortile/Rear window (Alfred Hitchcock, USA 1955) |
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La violenza può naturalmente essere non solo fisica ma anche
psicologica, il che non fa che aumentare il livello di criticità della
rappresentazione. La "manipolazione" del pubblico da parte dei cineasti
può giocare infatti, ad esempio, sulla fascinazione, al limite del
morboso o del sado-masochista, per storie dall'alto potenziale emotivo
(che si tratti di violenza o di erotismo poco importa). Questo non
riguarda soltanto il cinema "di finzione", ma anche il genere
documentario, solo apparentemente più "obiettivo". L'occhio della
macchina da presa (e delle persone che a vario titolo la maneggiano, dal
regista al direttore della fotografia) non è in realtà mai "neutrale"
poichè filmare comporta sempre delle scelte consapevoli (dal decidere
cosa lasciare fuori campo alla lunghezza delle riprese, dal montaggio
delle sequenze al ritmo che si intende dare alla narrazione, e così
via), per cui il risultato finale comporta sempre un giudizio che, di
nuovo, ha a che fare con i criteri etici ed estetici. Ha fatto grande
scalpore un film di "docufiction" (una miscela di finzione e di riprese
dal vero) come La voce di Hind Rajab, che ha messo in scena la straziante vicenda di
una bambina palestinese che, imprigionata in un'auto a fianco dei
parenti uccisi, cercava disperatamente, tramite un cellulare, di
contattare qualcuno. Il film ha utilizzato, oltre ad attori
professionisti che interpretavano i soccorritori impossibilitati a
prestare aiuto, le vere registrazioni della voce della bambina stessa,
con un risultato scioccante per gli spettatori. Era lecito usare un
documento come quello della bambina palestinese all'interno di un film
per altri versi "di finzione"? Fino a che punto è possibile spingersi
nella spettacolarizzazione del dolore? Il film, documento comunque
prezioso per la comprensione del dramma dei Palestinesi, e premiato con
il Leone d'Argento - Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di
Venezia, solleva questioni molto complesse e spinose, che
chiamano in causa la natura stessa del cinema, e il ruolo che svolgono i
cineasti e il pubblico - oggi forse più che mai, vista la proliferazione
delle immagini in cui siamo costantemente - e spesso inconsapevolmente - immersi. |
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La voce di Hind Rajab/صوت هند رجب, Ṣawt al-Hind Rajab (Kawthar ibn Haniyya, Tunisia-Francia-GB-USA 2025) |
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Certamente la questione della presunta (a)moralità delle opere non può
essere disgiunta da una prospettiva storica. Come abbiamo già avuto
occasione di notare, la sensibilità dei pubblici cinematografici varia
nel tempo, al variare di tutte le variabili socio-culturali che permeano
le convinzioni, gli atteggiamenti e i valori di una società. Ciò che
fino a qualche decennio fa poteva destare scandalo (ad esempio, nella
rappresentazione della sessualità) viene oggi ampiamente accettato senza
battere ciglio, e una scena di inaudita violenza come quella
dell'epilogo di Gangster story, che all'epoca destò un enorme scalpore,
forse oggi viene accettata, almeno da alcuni spettatori, con minore
coinvolgimento emotivo (anche se tutto ciò nulla toglie alla questione
della potenza, a volte manipolatoria, delle immagini). E basta
confrontare come cambiano nel tempo i divieti della censura: se alla sua
uscita, nel 1976, Taxi driver uscì in Francia col divieto ai
minori di 18 anni, oggi questo divieto è sceso ai minori 12 anni. E un
film che molti considererebbero "adatto anche alle famiglie" come
Avatar, uscì nel 2009 negli Stati Uniti col divieto ai minori di 13
anni a causa di "sequenze di battaglie epiche intense, sensualità,
linguaggio volgare e fumo" ... (Nota 14). |
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Gangster story/Bonnie and Clyde (Arthur Penn, USA 1967) |
Taxi driver (Martin Scorsese, USA 1976) |
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Avatar (James Cameron, USA-GB 2009) |
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In conclusione, ancora una volta, nel dibattito etica
vs estetica
siamo di fronte non solo a posizioni ideologicamente
diverse, ma anche ad atteggiamenti contrastanti, se non opposti, nei
confronti della valutazione e dell'apprezzamento di un film, e la
conclusione non può essere che la stessa che abbiamo più volte espresso
in questo lavoro, ossia che si possono accettare tutte le posizioni e
gli atteggiamenti, purchè si rimanga disposti a discuterne e a
confrontarli, nell'intento, come detto nella nostra Introduzione, di cercare di capire senza pretendere di spiegare
(o, peggio, di difendere una posizione negando l'altra). 8. La questione della novità o originalità Un ulteriore criterio in base al quale un film può essere considerato un "bel" film riguarda il fatto che venga percepito come originale, ossia con aspetti che in qualche modo lo qualificano come almeno in parte "nuovo" rispetto a tutto ciò che uno spettatore ha visto in precedenza. L'originalità o novità di un film chiama in causa, innanzitutto, l'appartenenza ad un determinato genere cinematografico. Se identifichiamo un certo film come un western, piuttosto che uno thriller o un film di fantascienza, immediatamente facciamo riferimento a tutta la produzione di quel genere a cui il "nuovo" film sembra appartenere. Per definizione, un genere possiede aspetti che lo caratterizzano più o meno fortemente (ad esempio, il tipo di storie, di personaggi, di scenografie, di colonne sonore, ecc.), che ogni film che si inserisce in questa categoria deve almeno in parte condividere. Ma la caratteristica cruciale di un film "di genere" è che, se da un lato deve rimandare ad una tradizione codificata, dall'altra deve in qualche misura anche inserire qualche elemento di novità: e dal punto di vista del pubblico, gli spettatori devono essere gratificati dal ritrovare aspetti conosciuti e amati, ma allo stesso tempo anche dalla presentazione di qualcosa di nuovo, senza il quale si corre il rischio di annoiarsi. Dunque un primo fattore che condiziona l'originalità di un'opera riguarda come essa si inserisce nel "canone" del genere di appartenenza pur offrendo motivi di novità e di "sorpresa". Tutto ciò continua ad essere vero anche se consideriamo il fatto che molti film sembrano oggi appartenere a molti generi diversi (citiamo l'esempio dei dramedies, o commedie drammatiche), e che molti film si possono considerare ibridi: l'avventura si mescola con la fantascienza, il giallo con la commedia, lo thriller con il musical ... L'originalità può riguardare in particolare gli aspetti tecnologici della produzione di un film, ma in questo senso è cruciale la prospettiva storica: un film come La tunica nel 1953 poteva sembrare molto innovativo dato l'uso del Cinemascope, ossia di un formato di schermo oggi ampiamente sorpassato da ben altre meraviglie tecnologiche (e infatti questo film rimane nella storia soprattutto come esempio pioneristico di quella tecnologia); allo stesso modo va considerata la novità rivoluzionaria, nel 1927, di Il cantante di jazz, primo esempio di un film con sequenze sonore. |
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La tunica/The robe (Henry Koster, USA 1953) |
![]() Il cantante di jazz/The jazz singer (Alan Crosland, USA 1927) |
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Allo stesso modo, se oggi siamo ormai abituati a riprese aeree di grande
impatto effettuate con dei droni, la ripresa dall'alto di una famosa
sequenza di Gli uccelli di Hitchcock (dal minuto 01:23) poteva sembrare quasi
rivoluzionaria nel 1963; e, per fare un esempio molto più recente,
Taxi Teheran, filmato dal regista Panahi all'interno di un'auto
usando uno smartphone (per evitare guai con la censura), si
inserisce, quasi facendo di necessità virtù, in una gamma di modi innovativi di effettuare
delle riprese cinematografiche. |
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Gli uccelli/The birds (Alfred Hitchcock, USA 1963) |
Taxi Teheran (Jafar Panahi, Iran 2015) |
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Le nuove tecnologie, come sappiamo, rendono rapidamente obsolete
innovazioni che un tempo avrebbero potuto godere di una fama più
prolungata. Così S1m0ne, che nel 2002 introduceva il personaggio di una
bellissima donna creata al computer da un regista in crisi (e di cui lo
stesso si innamora), oggi impallidisce al confronto con tanti film che hanno come
protagonisti robot, automi, esseri "replicanti", avatar e via
discorrendo ... |
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S1m0ne (Andrew Niccol, USA 2002) |
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Se i due più famosi film della Hollywood del 1939 (Via
col vento e Il mago di Oz, diretti dallo stesso regista) dovevano almeno
in parte la loro popolarità all'uso molto innovativo del colore, oggi è l'uso
del bianco e nero ad essere piuttosto raro e dunque, in un certo senso,
"originale". |
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Via col vento/Gone with the wind (Victor Fleming, USA 1939) |
Il mago di Oz/The wizard of Oz (Victor Fleming, USA 1939) |
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E se un film musicale prodotto dall'industria indiana (Bollywood) non fa
nessuno scalpore, visto che un gran numero dei film di Bollywood
appartiene al genere musicale (o per lo meno contiene elementi di un
musical), La La Land fu salutato, alla sua uscita nel 2016, come un'originale
rivisitazione del musical classico hollywoodiano degli anni '50. |
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La La Land (Damien Chazelle, USA 2016) |
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Allo stesso modo, le innovazioni, di forma e di contenuto, della New Hollywood degli
anni '60 e '70 hanno introdotto novità nel genere hollywoodiano per
eccellenza, cioè il western, ad esempio rimettendo in discussione il
mito della frontiera e l'immagine degli "indiani" (cioè dei nativi
americani) veicolati dal western "classico" dei decenni precedenti. Quest'ottica allora quasi rivoluzionaria ha poi contribuito a plasmare i
(non molti) western prodotti successivamente, fino ad arrivare alle
sperimentazioni di Quentin Tarantino (che in Django unchained
omaggia, tra l'altro, l'originale Django, uno dei migliori film
del genere "spaghetti western". |
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Django (Sergio Corbucci, Italia-Spagna 1966) |
Django Unchained (Quentin Tarantino, USA 2012) |
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Ma l'originalità non riguarda solo gli aspetti tecnologici o la
questione dei generi cinematografici. A volte un uso particolare delle
tecniche rimanda ad un significato concettuale più profondo. Abbiamo già
citato gli straordinari effetti speciali creati da George Méliès già
alla fine del XIX secolo, effetti che, al di là della prodezza tecnica,
contribuivano a porre le fondamenta del cinema come regno del fantastico
e non solo come ripresa del reale. E se altri pionieri come i fratelli
Lumière adottavano un piano di ripresa fisso, costretti com'erano dalla
quasi immobilità della macchina da presa, quando Andy Warhol realizzò
nel 1965 Empire, film muto, senza una storia e senza
personaggi, in cui la macchina da presa fissa riprende per 8 ore e 5
minuti la stessa scena, siamo chiaramente di fronte ad una
provocazione - una scelta stilistica ma anche concettuale (la volontà di registrare il
passare del tempo quasi violentando l'idea stessa di cinema che
organizza il reale). |
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L'arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat/L'arrivée d'un train en gare à La Ciotat (Fratelli Lumière, Francia 1895) |
Empire (Andy Warhol, USA 1965) - clip dal film |
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E l'originalità può anche riguardare altri aspetti, come ad esempio le
novità nel casting, cioè nell'attribuzione di tipi di
personaggi agli interpreti: uno dei motivi di interesse e popolarità di
un film come Bulli e pupe, ad esempio, consisteva nel vedere
Marlon Brando, già celebre soprattutto per ruoli drammatici (come in
Un tram che si chiama Desiderio, Il selvaggio, Fronte del porto) in un film musicale. |
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Bulli e pupe/Guys and dolls (Joseph L. Mankievicz, USA 1955) |
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Un'ultima considerazione riporta l'attenzione, ancora una volta, sulle
differenze individuali. Gli spettatori differiscono infatti tra
di loro anche per come percepiscono la novità o l'originalità di un
film, anche e soprattutto in rapporto alla già citata questione dei
generi cinematografici. Alcuni spettatori possono trovare ripetitivi
molti film di arti marziali o di supereroi, ma i cinefili incalliti e
avvertiti potranno magari trovare motivi di interesse in alcuni aspetti
(ad esempio, dettagli di trama o di personaggi, o ancora di oggetti o
scenografie) che ad altri possono sfuggire; ed anche i critici
cinematografici potranno magari affilare le loro armi analitiche per
evidenziare quelli che loro percepiscono come elementi di novità. E
infine, non dimentichiamo che il desiderio di apparire "alla moda" e
"ben informati" può spingere alcuni ad inseguire quelli che i media (o
le campagne di marketing, o il passaparola su Internet) etichettano come
prodotti nuovi e originali ... Fine della Seconda parte. Vai alla Terza parte |
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Note 6. Victoria Oliver Farner, The Video Essay: "Sound & Sight & Time" on Notebook|MUBI. 7. Heller N. 2019. "James Gray’s Journey from the Outer Boroughs to Outer Space", The New Yorker, September 19. 8. Dalla recensione di un utente su IMDb. Sullo stesso sito è possibile consultare una dettagliata guida ragionata a questi "errori tecnici".9. Si veda ad es. Gallese V. e Guerra M. 2015. Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze, Raffaello Cortina Editore, Milano. 10. Jullier, cit. p. 136 11. Dalla recensione di un utente su IMDb. 12. Si veda Mariani L. 2023. "Ma davvero vissero tutti per sempre felici e contenti?" Finali dei film e reazioni degli spettatori, cinemafocus.eu 13. Wilde O. 1891. Il ritratto di Dorian Gray. 14. Come riportato in Jullier 2021, op. cit., pp. 178-180. |
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